Franchising e forme di previdenza integrativa: ampliare i servizi offerti alla rete
Cosa può offrire un Franchisor ai suoi affiliati? Solo formazione? No, anche supporto. Solo questo? No di certo. I migliori franchising sono sistemi che funzionano grazie alla forza della rete che rappresentano. Più forte è la rete, più si rafforza il brand e di conseguenza gli affiliati possono guadagnare ed essere soddisfatti della scelta di aderire a quel marchio.
Il Franchisor diventa in questo senso un punto di riferimento, un capofamiglia che fa crescere il sistema proprio perché è uno dei suoi obiettivi finali. La sede può dunque offrire percorsi per la crescita degli affiliati, oltre che il piano di sviluppo e formazione iniziale, ma quello che può fare non si ferma qui. Se pensiamo al sistema e alla soddisfazione, il Franchisor può davvero offrire ancora di più, facendo rete e traslandone i benefici sulla sua, di rete.
Forme di previdenza integrativa e franchising
Cosa c’entra dunque la pensione integrativa con i franchising?
Negli ultimi mesi sto lavorando a un progetto di sviluppo, con Alex Skerlavaj della web agency Delex di Trieste (anche lui Connection Manager 😊), di una piattaforma che analizza e vende forme di previdenza integrativa. È una realtà nuova, che ha inglobato il know how previdenziale di un team di professionisti del settore assicurativo e si è data come Mission la vendita dei prodotti previdenziali online, attraverso l’analisi di tutti i comparti e prodotti esistenti in Italia. Si chiama propensione.it e con Alex e altri professionisti stiamo supportando e implementando la strategia di marketing online e offline di questa startup.
Franchising di successo: l’importanza della comunicazione interna
Durante la fase di analisi abbiamo avuto modo di valutare il mercato del settore previdenziale, di scandagliare il sistema di pensione pubblica esistente e di apprendere, quindi, nozioni fondamentali su questo mondo così complesso ma sempre più interessante e importante da conoscere.
In una delle riunioni con il team, che ha la sua sede operativa a Trieste, è emersa l’importanza della costituzione di un fondo pensionistico per i liberi professionisti e gli imprenditori. Ero in una fase di analisi delle possibilità di comunicazione interna dei franchising, di analisi dello storydoing applicato al mondo dell’affiliazione e, come ho sottolineato anche in altri articoli, credo fermamente che una delle sfide più difficili per i Franchisor, troppo spesso sottovalutata, sia creare una squadra che lavora bene insieme e che trae costanti vantaggi dall’appartenenza al network.
Aprire un franchising: prima di tutto, l’impresa
Cito spesso la costituzione di un’agenzia di comunicazione interna che supporti gli affiliati, a tutela del brand. In quell’occasione stavo scandagliando anche i gruppi di acquisto, e quando ho sentito parlare di previdenza per i professionisti e gli imprenditori, mi è scattata un’ulteriore area di sviluppo possibile.
I franchising generano business territoriali e quindi sviluppano sistemi di impresa. Chi si affilia ha il vantaggio di poter aprire un’attività che è già stata testata, avvalendosi del know how di chi l’ha aperta è fatta crescere.
Se così è, la crescita degli imprenditori e il loro miglioramento economico e professionale è uno degli obiettivi correlati. Dall’inizio alla fine. Dall’apertura al – potenzialmente – pensionamento. Si sa, non sempre è così, perché i franchisee possono cambiare franchising o scegliere di vendere una volta ottenuto il giusto successo, oppure possono aprire nuove sedi, sviluppare nuove aree territoriali con altri business locali. Ottimo.
L’imprenditore che apre in franchising spesso non lo era prima di affiliarsi. Va formato, accompagnato, fatto crescere. Non possiamo pensare che sia da seguire solo in fase di apertura. Così come il marketing per i franchising è fondamentale per ampliare il business e migliorarne i risultati, a questo punto anche la pensione integrativa, per chi versa in una cassa separata, che sicuramente non darà diritto a una pensione pubblica commisurata al reddito, diventa un servizio interessante da offrire.
Franchising e previdenza integrativa: cosa potrebbe un Franchisor in tema di pensione?
Potrebbe innanzitutto informare:
dotarsi di un fondo pensione il prima possibile consente di cominciare presto a versare e quindi ottenere più risultati alla fine del periodo lavorativo.
Non solo. I versamenti a un fondo previdenziale abbassano il reddito imponibile. Ebbene sì. Fino a circa 5000 euro. Cosa significa? Se il tuo fatturato è di 45000 euro e tu versi 5000 a un fondo previdenziale, avrai un reddito imponibile di 40000 euro. Un bello sconto sulle tasse, no?
Prendo l’infografica di propensione.it per spiegare meglio.
Data la mia visione sui franchising e la comunicazione interna credo che da subito un buon Franchisor dovrebbe offrire tutti i servizi possibili, alcuni a costi talmente contenuti che viene proprio da dire: perché no? Questi servizi hanno costi contenuti perché possono essere fatti in partnership, oppure proposti attraverso corsi gratuiti. Per formare gli imprenditori affiliati, farli crescere, ottenere successo e, quindi, sviluppare un franchising di successo.
Se ti interessa aprire un franchising e vuoi cominciare nel modo giusto, ricorda che dovrai tenere conto di attività di comunicazione e marketing interne e attività interne. La previdenza e altri servizi sono tutte idee che puoi mettere a disposizione dei tuoi affiliati. Sono a disposizione per approfondire questi temi e valutare come ti stai muovendo, sia che tu abbia una rete di negozi già avviata, che tu stia pensando di avviarla.
Franchising di successo, come si crea?
Aprire un franchising, gestire quello esistente. Un franchising di successo non è cosa facile da costruire, e la chiave è sempre partire dalle basi giuste. Nel web spopolano articoli di vario genere su come si apre un franchising. Sono testi anche ben strutturati, con spunti utilissimi, ma che mancano spesso, a mio avviso – a parte in alcuni rari casi – di due parti concrete che l’imprenditore che si avvia verso questo percorso dovrebbe tenere in conto:
- Da imprenditore a manager. Chi vuole aprire un franchising solitamente ha sviluppato un format vincente e ci ha messo anima e corpo. Bene, se l’imprenditore vuole sviluppare in franchising, meglio che capisca da subito che il corpo starà fuori dal negozio principale, dalla sede pilota in cui ha versato tutto il suo sudore. Si deve trasformare in un manager. Non è da tutti, si sa, e si vede in moltissimi format che, già nel breve termine, non hanno saputo svilupparsi alla stregua del sogno dell’imprenditore.
- La struttura interna, sia per lo sviluppo del brand, che per quello dei franchisee. Ho già avuto modo di trattare l’argomento dei diversi target dei franchising, parlando di franchisee e di cliente finale. Ma come si deve comportare il franchisor se vuole fare bene nei confronti degli uni e degli altri?
Franchisor: da imprenditore a manager
Hai un format che funziona, lo sviluppi da anni, ci metti anima, passione e tutto l’impegno che hai. Crei una macchina perfetta, almeno ai tuoi occhi, e te lo dimostrano anche i numeri. Inoltre, chi frequenta la tua attività ti dice che di posti come il tuo dovrebbero essercene altri. Magari – dico magari – qualcuno ti consiglia il film di McDonald’s, che ti dà lo spunto per dire: perché no? E allora si accende la lampadina e pensi allo sviluppo, cominci a informarti dal commercialista, leggi articoli, magari ti imbatti in una società di consulenza. Improvvisamente, il mal di pancia che avevi e ti portava a pensare che meritavi di più, si scioglie: aprire in franchising, avere altri punti vendita come il mio! Bellissimo, chi non sogna di diventare sempre più grande, conosciuto, noto e… diffuso?
Torniamo però con i piedi per terra. Cominciamo dal tuo commercialista: se non è un esperto di franchising, lascia perdere.
Il franchising non è pane per tutti e il rischio di fare errori è elevatissimo.
Non entro qui nel merito, ma è così. Chiedi quindi al tuo commercialista se ha mai gestito strutture in rete e com’è andata, fatti dare degli esempi e se non ce ne sono, affidati a qualcuno che ne abbia.
Ammettiamo anche che il commercialista sia bravo o che tu abbia trovato una persona giusta. Ora? La prima sfida che ho visto, è con te. Ti sei rimboccato le maniche nella tua attività e se ti vuoi espandere devi prima lavorare su di te. Non sarai più operativo, se apri in franchising, o almeno non come lo intendevi fino a prima di decidere di aprire. Diventerai un manager. Gestirai un team, lo sviluppo del brand, gli affiliati e, all’inizio, forse, anche le selezioni e i controlli. Attenzione! Diventare un leader che sappia fare il proprio lavoro non è da tutti. Formati da subito, studia, frequenta dei corsi che ti possano aiutare. Ci sarà un grande cambiamento nella tua vita, specie se le cose andranno bene. Cominciare da subito è fondamentale.
Vedo, ahimè, poco lavoro di questo tipo alla base dei lanci dei franchising e lo ritengo importantissimo. Nel tempo, per quanto tu sia affezionato al primo negozio/punto vendita che hai aperto, capirai che non puoi gestire il franchising stando anche a capo di quella sede.
Struttura di un franchising: come si fa?
Un franchising è fatto di tanto lavoro, stress, sviluppo. Ho visto pochi articoli che affrontano il tema della struttura di un franchising e dei suoi costi, come se bastasse mettere un annuncio di ricerca affiliati e le cose potessero andare per conto loro. Non è così.
Il franchisor deve sapere da subito che gli serviranno persone e che si dovrà creare uno staff.
All’inizio sarà ovviamente piccolo, ma un altro tema da affrontare sono le prospettive di crescita: più si cresce più si avrà bisogno di personale e di collaborazioni per gestire tutto al meglio.
Franchising: gli obiettivi
Che obiettivi ti sei dato? Che obiettivi vuoi raggiungere con la tua rete nel breve, medio e lungo periodo? Ovviamente, se rispetto a quanto detto sopra ti sarai circondati dei giusti professionisti, avrai un commercialista o un consulente che ti faranno un ottimo business plan, in cui vedrai anche i costi del personale. Ahimè quando si parla di franchising online, pochi parlano di costi del personale per aprire. Ho trovato un articolo di Mirco Comparini che tratta l’argomento mostrando delle tabelle per il piano economico di un franchising e devo dire che è la cosa, in questo momento, più utile.
Non entro nel dettaglio del piano economico o di sfere che non mi competono, ma se penso al reparto marketing di un franchising ho due convinzioni, maturate in questi anni di lavoro:
- Delegare tutto all’esterno è un male
- Il reparto marketing ci deve essere dall’inizio
Sì, certo, il personale costa e non è semplice, sono d’accordo, ma si può partire con una struttura ibrida, per poi arrivare a regime e si può farlo senza problemi. Pensarci da subito è fondamentale. Lo è non solo perché i network hanno bisogno di piani strategici e di analisi dei processi di acquisto. No, in realtà lo è molto di più perché fin da subito c’è un tipo di comunicazione che è fondamentale in rete: la comunicazione o marketing interni. Una delle più grandi responsabilità di chi fa marketing per i franchising è infatti saper gestire al meglio la rete che si andrà a costruire, con servizi, proposte, supporto.
Dal canto mio dico sempre che i franchising, lato marketing, sono delle piccole agenzie di comunicazione per i loro affiliati. E così dovrebbe essere. Esternalizzare tutta questa parte senza riferimenti interni è rischiosissimo. All’inizio, quindi, formati, comprendi, cerca di avere tutte le informazioni che ti servono.
Marketing per franchising, cosa dovremmo fare
Il reparto marketing o il consulente (che, come detto prima ha il ruolo di guidare il manager nella costruzione del reparto) devono saper fare tante cose, in primis analisi. Specie nelle prime fasi di avvio, va studiato bene come leggere i dati, come tradurli in azioni, come costruire e confermare il processo di acquisto da cui derivano le attività che faremo sui diversi canali che sceglieremo. In seguito, va compreso come gestire la lettura dei risultati che queste azioni ci portano.
Il reparto marketing di un network non ha solo questo ruolo. Deve costruire strategie di comunicazione che si rivolgano all’interno, agli affiliati, alla gestione della loro comunicazione e del loro benessere nel brand.
L’obiettivo di ogni franchisor dovrebbe essere la felicità dei propri franchisee, il loro benessere e il loro successo.
Certo, ciò presuppone che sappia selezionare gli affiliati giusti. Non è da tutti. Forse è la cosa più difficile, effettivamente, e non è questo il luogo per approfondire questo aspetto.
Affiliati, cosa si aspettano?
Un affiliato di un franchising rischia di sedersi sugli allori e pensare di essere passato da una forma di lavoro dipendente a un’altra (o lo fa almeno fino a che non incontra per la prima volta il commercialista :P). L’affiliato è parte integrante del franchising e diviene uno “di famiglia”. Quali servizi dunque si aspetta? Oltre a quanto detto in termini di risorse umane, il franchisee si potrebbe aspettare altro e ci sono davvero tante possibilità che una struttura in rete può offrire e costituire. Vediamone alcune:
- Gruppi di acquisto. L’unione fa la forza e, inoltre, fa il prezzo giusto. Se il franchising viene visto come una squadra, quella squadra può avere dei vantaggi nel comprare attrezzature e forniture che siano utili al suo miglioramento, anche economico. Ho intercettato franchising che hanno lavorato bene su questo, non solo fermandosi agli arredi e al materiale, ma andando a toccare anche – per esempio – le bollette della luce. Un franchising con cui ho collaborato ha lavorato tanto per l’abbattimento della tassa rifiuti, o per la gestione di corsi obbligatori come quello sulla sicurezza.
- Formazione. Dalla formazione alla vendita, alla gestione, il franchisee dovrebbe diventare l’imprenditore dei nostri sogni, quello che ci siamo immaginati a portare avanti il nostro marchio. Come possiamo pretendere di ottenere un risultato simile se non lo formiamo?
- Affitto/Location. Il franchisor può prodigarsi anche in questo, o offrire un giusto servizio, avendo il coraggio di scartare luoghi che non vanno bene ma anche di dare gli strumenti per trattare un contratto di affitto della sede locale.
- Benefit. Ce ne sono tanti che si potrebbero ottenere e, ammesso che si desideri che l’affiliato rimanga con noi il più a lungo possibile, offrirgli strumenti per il benessere di oggi, ma anche quello di domani, è la chiave. Mi viene in mente, per esempio, fare informazione sulla gestione del personale, sugli obiettivi, ma anche – semplicemente – trovare una forma di previdenza integrativa che funzioni.
Condividere, fare squadra, ottenere gli obiettivi prefissati. Nel mondo del franchising è fonte di stimolo e di miglioramento, se si tratta nella giusta maniera. Come fare? Io parto dalla mission e dalla vision, ma soprattutto dai valori. Mi capita talvolta di chiedere ai clienti come sognano che sia il network di qui a 5 o 10 anni. Chiedo che lo facciano con dovizia di particolari e li spingo a valorizzare e visualizzare ogni aspetto del loro business. Non è facile, ma mette in moto consapevolezze fondamentali per decidere come muoversi, quali servizi offrire e, quindi, come poter comunicare.
Franchising e strumenti online: il web marketing a servizio della rete
Cosa può fare un franchisee quando sceglie un franchisor? Cosa può introdurre un franchisor per essere in linea con i trend del momento ma soprattutto cercare di definire la sua strategia?
Offline, prima di internet, c’era poco. Oggi le cose sono drasticamente cambiate. Le imprese hanno a disposizione una serie di strumenti molto importanti per la loro comunicazione, come il sito internet, i social media, ecc. Online, per le aziende, e in particolare per i franchising, c’è già molto.
Partiamo da un assunto: un franchising ha al suo interno diversi piani di sviluppo marketing, differenti anche nel target a cui si rivolgono, spesso. In primis deve creare un piano marketing per il suo sviluppo, la sua diffusione e la penetrazione nel mercato. Poi, deve cercare di capire fin da subito quale sia la strada per portare traffico ai propri franchisee, come misurarlo, come renderlo business in modo che essi non decidano di lasciare il brand.
In realtà, insieme a questi, come vidi quando parlai di Carpisa, un franchising che si sarebbe potuto rimettere in gioco, ci sono altri piani, come quello di marketing interno, che è sì fidelizzazione dei franchisee ma rientra nel team building e in una strutturazione ancora più complessa.
Lasciamo stare le complicazioni per approfondire, oggi, cosa dovrebbe chiedere o chiedersi un potenziale franchisee rispetto alla comunicazione online del suo potenziale franchisor.
- Se esiste la pagina Facebook?
- Se esiste il sito internet?
- Quante visite fa?
Certo, possono essere informazioni utili e talvolta importanti.
- Ma perché un franchising dovrebbe avere la pagina Facebook?
- È sempre necessaria?
- Che obiettivo ha il sito?
- Che risultati portano le visite?
Sono tutti temi, questi ultimi, che rientrano nell’approccio più strategico rispetto al web marketing, quello che costituisce la sua vera essenza:
se non hai un piano, non saprai mai che strumenti ti servono per realizzarlo.
Ogni tanto mi piace fare degli esempi, che aiutano gli imprenditori a capire cosa intendo. Sappiamo tutti, più o meno, cosa significhi costruire una casa, giusto? Ebbene, siamo certi che tutte le imprese edili usino le stesse materie prime e che lo facciano con le stesse strumentazioni? Siamo certi che queste strumentazioni vadano bene sia in una palude che in cima alla montagna?
Ancora, immaginiamoci un viaggio, un cammino zaino in spalla. L’attrezzatura sarà la stessa per la Savana o l’Everest? La strategia di cammino, il ritmo, il tempo per raggiungere gli obiettivi saranno i medesimi?
Visti questi esempi capiamo almeno due cose
- Che non esiste una strategia che vada bene per tutti
- Che basandoci su quello che vediamo, potremo prendere degli abbagli
Cos’è bene chiedere a un franchisor dunque, rispetto alle politiche di Web Marketing? Per prima cosa: quale sia la strategia.
Come il franchisor strutturerà un piano per farmi avere clienti?
Non solo! Controllate la sua presenza online e come la sta strutturando.
Non è giusto esserci per il gusto di esserci, ma perché conosciamo i perché e gli obiettivi dell’esserci.
Se scoprite che un brand è online ma non vi sa dire il motivo o adduce scuse tipo: perché ci sono tutti, rifuggitelo.
Se sei un franchisor, attenzione. Gli strumenti giusti hanno i loro perché. Chiediti sempre quali obiettivi hanno o chiedili a chi te li propone.
A Napoli avremo modo di parlare di questo ed altro, nel convegno sugli strumenti di web marketing. Faremo una panoramica sulle attuali possibilità, online, per i franchising, tra Google My Business e Facebook Locations, i più attuali.
L’intervento “Web marketing per franchising: quali strumenti? Da Facebook Location a Google My Business. Quello che dovresti sapere se sei un franchisor, ma che dovresti conoscere bene anche se sei un franchisee o vuoi diventarlo” è a Expo Franchising Napoli, in Sala Ionio, Padiglione 6, alle 15.45. Per saperne di più visita il portale del Salone del Franchising Retail & Startup.
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Franchising 2018: trend, prospettive, sfide per il nuovo anno
Il 2017 se ne va e come accade spesso è ora di fare i bilanci del vecchio anno con un occhio puntato ai franchising.
Si parla di franchising 4.0, nuove possibilità, sfide da vincere e su cui rimettersi in gioco per un mondo, quello dell’affiliazione commerciale, che da quasi 50 anni dice la sua sul mercato.
I franchising nel 2017
Sono pochi gli studi che portano alla luce i veri numeri, se non quelli emersi durante il Salone del Franchising di Milano e qualche analisi di AssoFranchising. Il settore è in crescita.
Se guardiamo i dati degli scorsi anni, negli studi proprio dell’associazione nazionale, la crescita del settore si dimostra ancora più interessante.
- Nel 1989 (primo anno di cui si trovano notizie) in Italia avevamo 210 franchisor, con 1091 franchisee e una media di 43 affiliati per brand.
- Nel 2003 in Italia c’erano 628 imprese affilianti, con 41000 affiliati e una media di franchisee per ogni casa madre di 63.
- Nel 2016 siamo saliti a 950 imprese, con 50700 punti vendita.
- In Italia le imprese straniere che investono sono circa 60, mentre i brand italiani che si sono espansi anche all’estero sono 169.
- Durante la fiera di Milano è emerso che nel 2018 si prospetta che il mercato tocchi i 1000 brand affilianti, con una copertura del 7% della distribuzione e 51000 negozi attivi.
- Anche il Sole 24 ore, a ottobre scorso, ha dichiarato che il franchising è un settore in salute, con un giro d’affari di 24 miliardi di euro.
L’indotto dà lavoro a più di 160.000 persone, e Andrea Renazzi, nell’intervista ad Alessandro Ravecca, presidente FederFranchising, l’altra associazione nazionale del settore, ha riportato recentemente, in un articolo per Retail&Food (dicembre 2017), che l’affiliazione può rilanciare il ruolo dell’impresa nei territori, specie laddove si generano momenti di incontro tra le amministrazioni locali e i franchisor per lo sviluppo dei centri storici.
Tutto vero? Tante prospettive positive e tante possibilità ci sono davvero? Da quando seguo il settore, e oramai sono una decina di anni, ho notato che non è tutto oro quel che luccica – ovunque in realtà – ma soprattutto in un mondo che in Italia qualche falla ce l’ha ancora.
Franchising nel 2018
Ho provato a chiedere un po’ di opinioni in giro, tra franchisor, franchisee e chi si interfaccia con loro.
Mentre Aprire in Franchising parla dei nuovi trend e delle attività da aprire, Info Franchising gli si accoda spiegando anche perché valga la pena scegliere la forma dell’affiliazione per mettersi in proprio e AssoFranchising annuncia l’annuario 2018 con tutte le 1000 aziende attive in Italia; anche all’estero si parla di prospettive e nuovi trend e l’Entrepreneur, sempre molto attento al settore e ai suoi sviluppi, ha analizzato le over top 10 franchise categories 2018 e in altri ambiti si parla di quali siano le migliori fiere del franchising per espandersi al’estero.
Aperture, sviluppo, nuovi punti vendita, nuovi rami e nuovi distaccamenti, export, specie nei paesi asiatici. E poi ancora perché aprire e dove conviene, più i soliti temi che attanagliano le discussioni da tempi immemori: contratti e manuale operativo, ma in primis se la legge sia davvero adeguata al settore.
Sono tante le domande che si leggono online, davvero tante. Corrispondono a quelle che franchisee e franchisor si pongono quotidianamente?
Sono percezioni o realisticamente dicono e raccontano i mal di pancia di chi si sta davvero mettendo in gioco e di chi sta aiutando gli imprenditori a farlo?
Ogni volta che sfoglio un magazine del settore me lo chiedo per davvero: vedo tanti marchi promuoversi, comprare spazi, mettere in campo promesse, e quello che mi piace analizzare, e non sempre emerge facilmente, è se si tratti per davvero di brand in cui valga la pena investire.
C’è da dire che la tematica è delicata, non fosse altro per un dato: la ricerca di franchising e affiliazioni low cost è in aumento. Si tratta di franchising apribili con investimenti dai 15 ai 30 mila euro (la media va dai 30 ai 50000) e pare riguardi il 70% delle nuove aperture.
Franchising low cost per il 2018?
Moda o vera opportunità? I franchising low cost rappresentano un trend che guarda al futuro o una prospettiva pro tempore che potrebbe avere dubbie possibilità di sviluppo? Un tempo si usava dire che “chi più spende meno spende”. Nel franchising non è detto, analizzando grandi brand e franchisor attivi da tantissimi anni, che chi più spende abbia di più.
Guadagnerà di più? Aperture e chiusure lo dimostreranno attraverso i dati. Sta di fatto che
di fronte a investimenti maggiori e fee più elevate non è detto che corrispondano servizi migliori e più strutturati.
Il low cost quindi offrirà di meno a fronte di un investimento minore? Anche in questo caso, non è detto. Ci sono realtà in franchising a basso investimento, specie nel mondo delle startup, che hanno impostato strategie molto precise e si stanno muovendo molto bene anche nel confronto con l’innovazione. Saranno costi sostenibili per sempre? Lo vedremo.
Franchising nel 2018: la mia indagine
Intanto il tema è il 2018 per i franchising e come lo vedono i diversi attori. Ho cercato di dividerli per aree di intervento tra franchisee, consulenti ed esperti e franchisor.
Vediamo cosa è emerso, con una nota, una parentesi divagatoria: ha risposto anche Elena Delfino, giornalista che si occupa di franchising da quasi 20 anni. Ho recuperato un suo articolo per AZ Franchising del 2008, che si chiama 1998-2018: il franchising ieri, oggi, domani. Mi sembrava doveroso citarlo, per aprire al ragionamento, e per la stima che ho per lei, oltre che per l’anno a cui guardava, il 2018.
Ringrazio fin da ora chi si è preso qualche minuto per rispondermi, interagire in pubblico o in privato, dedicarmi il suo tempo per parlare di questo argomento e mettere un occhio verso questo 2018 ormai arrivato.
2018 e franchising: il punto di vista dei franchisor
Apro con Pietro Amico, avvocato, che da anni si occupa di comprendere il settore e strutturare interventi volti a tutelare il franchisor rispetto a tutti gli aspetti noti e poco noti di sviluppo della sua rete e della legge.
Una nota che mi sento di fare, specie quando si struttura un franchising, è non dare per scontato che basti un contratto standard per partire. Specie quando si innescano politiche di marketing molto strutturate, è bene pensare fin da subito come la strategia impatti sullo sviluppo, prevenendo, prima che curando… Il punto di vista dell’avv. Amico apre gli occhi sui passi che sta compiendo l’Unione Europea sui franchising e mette nuovi punti su un percorso che si dimostra ancora una volta da costruire.
“Nel 2018 il franchising potrebbe trovarsi ad affrontare un passaggio epocale sul piano giuridico, in quanto è atteso l’avvio dei lavori per una regolamentazione europea della materia.
Ciò significa che il settore sarà chiamato a una profonda riflessione sulle priorità da consegnare alla politica UE e sul tema mai sopito del corretto bilanciamento di interessi tra affilianti e affiliati; al tempo stesso è ipotizzabile che la normativa, una volta attuata e a regime negli Stati membri, consenta agli attori economici di poter fare affidamento per la prima volta su un quadro legale omogeneo per operare e investire in ambito transfrontaliero. All’origine di tale percorso vi sono le interessantissime considerazioni del Parlamento Europeo, secondo cui
“il franchising ha tutto il potenziale per essere un modello commerciale in grado di contribuire al completamento del mercato unico nel settore del commercio al dettaglio, in quanto può rivelarsi uno strumento utile per avviare un’impresa mediante un investimento condiviso tra affiliante e affiliato;
ed è pertanto motivo di delusione constatare che, attualmente, nell’Unione europea i risultati sono inferiori alle potenzialità, poiché il franchising rappresenta solo l’1,89 % del PIL, contro il 5,95 % negli USA e il 10,83 % in Australia, e che l’83,5 % del volume d’affari del franchising è concentrato in appena sette Stati membri, motivo per cui è importante incoraggiare una maggiore diffusione di questo modello commerciale in tutta l’Unione Europea (Risoluzione del 12 settembre 2017 sul funzionamento del franchising nel settore del commercio al dettaglio).
Nel merito si tratterà di capire se l’Unione Europea si accontenterà di una regolamentazione “de minimis” o se invece ci sarà lo slancio per affrontare l’innovazione di una disciplina contrattuale che per molti aspetti è ferma al secolo scorso, con un’idea di negozi fisici soggetti a esclusive territoriali e a pratiche commerciali “impositive” da parte dei franchisor, laddove al giorno d’oggi le affiliazioni di successo inglobano sempre più spesso piattaforme di vendita on-line ed una collaborazione integrata tra tutti i membri del network.”
Pietro Amico, avvocato d’affari e manager, si muove a livello professionale tra Udine, Milano e Malta.
La tematica del rapporto fra affiliante e affiliato è sentita moltissimo dai franchisor. Alcuni, come Alessandro Giuliani di Mercatopoli e Baby Bazar stanno puntando alla qualità degli affiliati, proprio per lavorare meglio sul brand e il suo sviluppo, dando loro maggiore supporto e formazione, anche in un ambito poco esplorato, per i franchising, come quello del web marketing. Un tema che mi è molto caro, per altro: partire dal presupposto che avere i migliori franchisee, formati e attenti, se pur crei uno sforzo enorme in fase di selezione, sia la chiave per avere successo nel tempo, con una cassa di risonanza positiva per tutto il network.
“Penso che anche per l’anno prossimo i franchisor dovranno perseguire la strada del supporto ai loro affiliati, soprattutto sul web.
Le sfide saranno molte ma partono dalla consapevolezza che un affiliato che viene seguito e guadagna è un cliente super fidelizzato.
Minore focalizzazione sulle nuove aperture e maggior supporto per gli affiliati esistenti, questa è la strada che sto perseguendo personalmente con il mio team e che porterò avanti nel 2018.”
Alessandro Giuliani, fondatore di Mercatopoli e Baby Bazar
Ed espansione, in particolare sui mercati esteri, come accennava l’avv. Pietro Amico, anche se con una tendenza ad abbracciare quelli con gli occhi a mandorla, come spiega Giovanni Monzali, che si occupa di un noto brand di caffè.
“L’ azienda per cui lavoro é in forte espansione con il franchising e ho partecipato a seminari di formazione sull’export management in Asia che mostrano ottime previsioni di crescita nella zona, grazie al traino del PIL delle economie asiatiche. Per la Camera di Commercio la vera sfida sarebbe quella di puntare sui mercati asiatici, ma non è una novità: si tratta di un progetto in atto da decenni e l’Italia si é mossa in ritardo…”
Ritardo o meno, le reti che allargano la loro maglia lo dovrebbero fare in maniera consapevole e strutturata, senza dimenticare che oggi più che mai l’accesso alle informazioni è così globale che pensare di arrancare con una struttura poco trasparente non paga e che all’estero si stanno muovendo nuovi approcci anche al franchising anche visto che, in tema di affiliazione, l’Unione Europea potrebbe ancora una volta fare la differenza, con i suoi emendamenti in materia.
Da parte mia penso che la sfida vera dei franchisor sia decidere di fare ordine nelle proprie strategie di marketing, ancora più importante se parliamo di startup.
Partire con una chiara strategia consente a legali e commercialisti di costruire manuali operativi e contratti molto più tutelanti, sia per il franchisor che per la sua rete.
C’è davvero tanta ignoranza e impreparazione, specie per chi ha una rete già costruita. Cambiare le carte in tavola in itinere non è solo una manovra commerciale, ma diventa un’operazione che può toccare gli equilibri in maniera indelebile.
Il franchising è una squadra che funziona se si innescano dinamiche collaborative e partecipative di un certo tipo. Quando ci penso o vengo contattata per lo sviluppo web marketing per un franchising, è uno degli aspetti che sento forti, e che riguarda, in realtà, una specie di evoluzione della gestione delle risorse umane, quella comunicazione interna di cui tanto si parla ma che nel nostro paese è ancora lontana dall’essere gestita.
Così come in un’azienda – lo possiamo anche chiamare welfare – i dipendenti dovrebbero essere felici di svolgere il proprio lavoro perché anno chiari i loro obiettivi e si sentono stimolati dall’appartenenza a una squadra in cui stanno bene e quindi lavorano bene, allo stesso modo
i franchisee, se pur abbiano un rapporto contrattuale diverso – e lungi da me che sia simile a quello di un dipendente – dovrebbero sentirsi parte di una famiglia che lavora insieme per uno scopo comune, laddove lo sforzo e la sinergia dell’uno sono utili alla squadra.
Marketing interno ed esterno sono dunque le vere sfide, dal mio punto di vista, e sono quelle con cui, ultimamente, mi confronto ogni giorno.
2018 e franchising: cosa pensano gli esperti
Un avvocato lo abbiamo sentito, ora tocca a chi indaga, intervista e supporta i franchising in Italia. Partiamo dalla già citata Elena Delfino, giornalista di Start Franchising, che si occupa del settore dagli anni ’90, per arrivare a uno dei massimi esperti italiani in tema di contratti etici per i franchising (e legali), che con i suoi articoli ha spesso messo in luce molte delle ombre del settore. Il suo è un punto di vista oggettivo e duro, ma è proprio la sua capacità di farci riflettere che dovrebbe dargli ancora più valore. Collaborazione e nuovi approcci alla diffusione nelle parole, invece, di Roberto Lo Russo, che su StartFranchising sta ponendo attenzione al franchising di qualità.
“C’è una domanda che amici e parenti mi rivolgono puntualmente perché sanno che da anni scrivo di franchising: Elena, ma il franchising funziona davvero? Con chi mi consigli di investire?” apre così Elena Delfino, continuando: “Ecco, per il 2018 partirei con un augurio, e cioè che gli operatori di questo settore decidano di raccontarsi e raccontare questa formula di business in modo sempre più qualificato e trasparente, così da rendere le risposte a quelle domande sempre più dirette ed immediate. Con Start Franchising abbiamo deciso di impegnarci proprio in questa direzione. L’augurio però non è molto lontano dalla previsione: chiunque operi nel franchising si racconterà in modo sempre più efficace su strumenti qualificati online o offline, perché sappiamo che chi investe oggi è consapevole di poter reperire informazioni in modo più semplice e accessibile. Se non le trova, o le trova parziali o poco chiare, semplicemente cambia strada.”
Elena Delfino, giornalista esperta di franchising
“Occorrerebbe dividere il tema in due parti:
1. sfide di e sul mercato per ogni franchisor;
2. sfide per il franchising, come settore.
Se il n.1 non è tema di mia specifica competenza, per il n.2 occorre accettare e ben metabolizzare che non esiste una “sfida” o più “sfide” per il 2018. Il franchising non ha ancora affrontato, o meglio, quanto eventualmente e solo per ipotesi è stato fatto, è assolutamente inefficace. La reale sfida che doveva vincere, quella prettamente tecnico-legislativa non è vinta per niente, nonostante si voglia ancora negare questo aspetto. Ho da poco scritto sul mio blog “Il gattopardo in franchising”. Il senso è quello che riporto sinteticamente in quell’articolo.
Il franchising non ha mai trovato il modo di tenere lontani operatori poco professionali.
Non ha mai trovato il modo di non far partecipare a eventi pubblici per “vendersi” (perché questo è l’esatto termine tecnico, in Usa si dice “to buy a franchise” e in Francia “achat une franchise”).
Chi non ha una corretta impostazione del proprio sistema di franchising, che non ha sperimentato veramente la propria formula commerciale (come dice la normativa), che non significa “un punto pilota” o “per un anno” continua a esprimersi con obrobri economici: sono eresie aziendali, sono giustificazioni e motivazioni addotte semplicemente per creare “movimento” di indici di natalità e di mortalità. Tanti altri sono gli aspetti che ancora hanno grandi criticità e non hanno importanza i dati di “tenuta” del settore nel periodo di crisi, anche perché la lettura e l’interpretazione di tali dati può essere alquanto soggettiva, nonostante il palese negazionismo che ci arriva con tutta serenità. Forse la migliore conclusione è che al franchising non piace sentirsi dire tutti i tanti difetti che ancora sono stati lasciati addosso al settore e che qualcuno tende a nascondere sotto il tappeto e non sarà certo il 2018 a risolvere il tutto.
Ci sarebbe anche un altro tema interessante: è che in troppi “non tecnici”, soggetti in totale assenza di “visione di un insieme d’azienda”, pensano di essere esperti, interpretare la norma (a pro o a favore), dare indicazioni su come costruire una rete, ecc.
Ho recentemente fatto un arbitrato (io ero arbitro del franchisee) e il franchisor (che oggi ha una istanza di fallimento proprio dal franchisee che ha vinto l’arbitrato) ha serenamente dichiarato “io mi sono affidato a delle professionalità, come il mio commercialista, come uno dei più bravi avvocati, cosa avrei dovuto fare se nessuno mi ha detto niente?”. Stessa cosa vale per sviluppatore, responsabili di marketing, editori, franchisor mancati che, siccome sono stati molto “bravi”, allora pensano di dare consigli ad altri e fare i consulenti al franchising…”
Mirco Comparini, Presidente IREF Italia, Federazione delle Reti Europee di Parternariato e Franchising
Poca professionalità, tanta improvvisazione, come dar torto a Mirco vedendo certe tipologie di contratto o le strategie di marketing per franchising che non tengono conto dei due target e di una prospettiva a medio e lungo termine? Un altro tema scottante e sicuramente non dedicato solo al 2018, ma a una rivoluzione intera, che pare debba ancora venire.
Cosa si può fare? Come ci si può muovere per migliorare questa situazione? Qualcuno dice che se non crei soluzioni sei parte del problema, e così ragiona Roberto Lo Russo, dicendo che
“La prima sfida è far comprendere la formula del franchising etico sia ai Franchisor che ai Franchisee e potenziali tali; la seconda è strumentale alla prima, fare squadra tra associazioni, imprenditori del settore per fare massa critica”
Roberto Lo Russo, esperto di franchising, StartFranchising
L’approccio di Roberto, che ritroveremo alla Fiera del Franchising di Napoli, è proattivo:
non siamo più isole, dobbiamo cominciare a collaborare!
Una nota positiva arriva anche da Gianni Perbellini, commercialista, esperto di franchising.
“Sono convinto che il 2018 sarà un anno di grande accelerazione per il settore.
L’economia e i consumi in ripresa faranno ripartire le attività commerciali BtoC e il sistema Franchising garantisce un’accelerazione nello start up e buone possibilità di successo commerciale.
D’altro canto il consumatore, sempre più, tende a fidarsi ed affidarsi a format diffusi in franchising, dei quali conosce risposta qualitativa e pricing. La mobilità e le tempistiche sempre più incalzanti della vita quotidiana aiutano a creare sempre più consenso a ciò che si è dimostrato degno di fiducia ed è diffuso sul territorio. L’Italia, poi, deve recuperare il Gap che ha nei confronti degli altri Paesi Europei, per tacere degli Stati Uniti, per cui ben venga questo balzo in avanti!”
2018 e franchising: il punto di vista dei franchisee
Parliamo di sviluppo, selezione, affiliati più preparati. Sta di fatto che ci sono persone che ci hanno creduto, hanno sposato un marchio e hanno deciso di intraprendere la loro strada imprenditoriale con esso. Se può essere facile parlare di sviluppo partendo da zero o ragionando sui nuovi franchisee per il 2018, come è possibile adoperarsi per far lavorare meglio chi già è dentro a un’azienda da tempo? Ho deciso di ascoltare la voce di qualche franchisee o potenziale, per capire meglio cosa pensano.
I franchisor dovrebbero ascoltarli di più, chiedendosi cosa desiderino e facendone tesoro. Vedo pochissime situazioni win-win in cui il franchisor, come avviene invece in America, crea dei focus group con i propri franchisee, per capirne le esigenze e osservare il mercato ponendo nuove basi per il futuro. Il caso di Carpisa di quest’anno, ma anche tanti altri, sono emblematici per dimostrare che il franchisor non dovrebbe ritenersi un’isola né nei confronti dei propri simili, né tantomeno in quelli dei suoi franchisee. Ecco cosa mi hanno detto.
“Non so se sia una sfida ma il franchisor non è all’interno del negozio franchisee. Ho notato che i nostri concorrenti sono cresciuti molto quando i titolari hanno aperto uno o più punti vendita. A noi manca questo: abbiamo molta teoria ma poca pratica.”
P., franchisee di un noto brand italiano, che ha chiesto di rimanere anonimo
C’è una distanza tra il franchisor e il franchisee dunque, spesso sentita, perché il franchisee si sente mal compreso, nella gestione quotidiana e si rende conto che chi lo “governa” non si mette nei panni del proprio – di fatto – principale cliente. Molto interessante.
“Da 24enne con il “Sacro fuoco dell’imprenditoria” ma senza ‘na lira, sogno dei franchisor più preparati ad aiutare chi vorrebbe mettersi in gioco usando la propria forza per aiutare il franchisee a trovare le risorse e smettere semplicemente di fare gli appioppiatori di negozi.”
Guido Vecchioli, aspirante franchisee
“Appioppatori di negozi” è un termine nuovo, ma tante volte questo concetto è emerso:
i franchisor pensano solo alla loro espansione, a fare numeri, senza chiedersi cosa possa succedere quando i negozi chiudono, con quale impatto sul brand.
Ne abbiamo parlato prima, e lo trovo un tema su cui i franchisor dovrebbero fare sempre più attenzione.
Il Salone del Franchising ha fatto emergere che
- il 42% dei potenziali affiliati sceglie un franchising per la ricerca di un percorso autonomo,
- il 39% per testare una nuova esperienza,
- il 13% perché ha perso il lavoro
- Il 25% dei potenziali affiliati è nella fascia d’età tra i 25 e i 35 anni.
“Da franchisee, considero questo metodo di affiliazione in espansione siccome da la possibilità di intraprendere un’attività da self-employed. In periodi come questi, ‘l’imprenditore per necessità’ emerge più facilmente e può quindi trovare l’opportunità che cerca. Considero il contesto importante, poiché determina l’esperienza del franchisee e la crescita aziendale. A mio parere, in Italia c è molta diffidenza in questi sistemi poiché spesso sono accostati a concetti imprecisi. La diffusione potrebbe essere difficoltosa e per la nostra notoria bassa propensione al rischio e investimento.”
Emanuele Aversa, franchisee
Il 2018 ideale di un franchising
Come dovrebbe essere il 2018 ideale di un franchising? Recentemente mi sono messa a fare un po’ di studi sullo sviluppo imprenditoriale e uno dei temi che noto essere più semplici ma anche accantonati è quello di darsi degli obiettivi. Gli obiettivi, dice la teoria, dovrebbero essere SMART: specifici, misurabili, realizzabili, concreti/realistici, nel tempo.
Quante imprese riescono a lavorare per macro e micro obiettivi, nel breve, medio, lungo periodo, andando poi a confrontare i risultati per comprendere se vi sia stata una chiara visione o meno e imparare da ciò che ha ottenuto? Ahimè, non è facile.
I macro ambiti di intervento del 2018 però sono chiari, e ogni franchisor dovrebbe fare o aver fatto un esame di coscienza, facendosi supportare da consulenti preparati, per trovare il modo di tradurre questi concetti in obiettivi:
- Qualità e non quantità: non serve avere migliaia di affiliati scontenti, ma una quantità corretta, gestita bene e soddisfatta dei risultati che ottiene
- Basta improvvisazione. Servono consapevolezza e consulenti in grado di comprendere che questo non è un settore comune e che ha caratteristiche specifiche molto delicate da trattare, che non si possono improvvisare o affidare a un copia e incolla
- Accompagnamento. Il franchisee è il nostro principale cliente e quindi come tale va trattato. Il franchisee deve quindi essere supportato in fase di apertura ma anche in tutto il corso della vita del suo negozio.
- Contratti e manuali operativi seri, che nascano da uno studio serio e concreto. Non si scherza!
- Collaborazione, network, condivisione delle informazioni. Nonostante le molte associazioni, non c’è ancora una vera squadra in questo settore
- Un occhio aperto verso l’UE, che sta o potrebbe cambiare le carte in tavola. Prepararsi non è così scontato
E poi, visto che parlo di strategie di marketing per franchising
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- Lavorare su una corretta strategia di marketing interno
- Definire una strategia di marketing globale che si occupi dei due target principali, lavorando principalmente sulla fidelizzazione, ovvero sulla soddisfazione e insoddisfazione dei propri clienti
- Fare buona pace definendo come strutturare gli strumenti online, specie Facebook Location e Google My Business
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Ma soprattutto
- Definire degli obiettivi, che puntino prima di tutto a dare profitto agli affiliati, in modo da rinsaldare la rete e renderla forte di fronte alle sfide del mercato.
I franchising che oggi stanno dimostrando di avercela fatta sono quelli che sono stati in grado di mettersi in gioco, guardare al futuro, saper cogliere il presente nei suoi cambiamenti e fare squadra con i propri affiliati. Sviluppare reti più strutturate ed espandersi all’estero senza tenere conto di questi aspetti rischia di generare un approccio e un sentiment negativo non solo verso un brand, ma verso l’intero settore.
Approfondiremo alcuni degli aspetti trattati nei prossimi articoli. Se ti va di leggerli, seguimi sui canali social in cui mi trovi, come Facebook o LinkedIn, o iscriviti alla mia newsletter.
Grazie per aver letto fino a qui e buon 2018! In franchising, magari! 🙂
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Carpisa, un franchising che avrebbe potuto (o) voluto mettersi in gioco (seconda parte)
Parlavamo di Carpisa, nella prima parte di questo articolo sui concorsi per franchising, e di un’opportunità mancata per un franchising, di mettersi davvero in gioco e fare la differenza, facendo parlare di sé con notevoli impatti – positivi – sul suo business.
Carpisa, dicevamo, vanta staff giovane, politiche del lavoro innovative e ha fiutato, con questa iniziativa, un modo nuovo di fare un concorso. Fiutato, non sfruttato. Come mai? Cosa avrebbe potuto fare Carpisa e di cosa dovrebbero tener conto i franchising quando fanno iniziative simili?
Riprendiamo da dove eravamo rimasti…
6. La gestione di un concorso per un franchising e il ruolo dei franchisee
Innanzitutto i franchising sono realtà particolari. Come dicevo nell’articolo su Aprire in Franchising dove ho cercato di sottolineare l’importanza di capire che i macro target di un franchising sono due e possono essere ben diversi tra loro (franchisee e cliente finale), è fondamentale non dimenticare mai le azioni che si svolgono su questi due piani e programmarle in maniera strutturata.
Non entro nel merito della gestione specifica del concorso per Carpisa, di cui non posso valutare le dinamiche interne, ma mi ha molto toccato, entrando in uno dei negozi, sentire una commessa che diceva “noi abbiamo detto subito che era un’idea pessima, difatti non ne stiamo parlando per nulla ai clienti”. Mi ha colpito per due motivi, questo approccio:
- Se hai un franchising dovresti preoccuparti di come i franchisee e i loro dipendenti parlano di te. Anche questa è diffusione del brand. Non è la prima volta che nei negozi, specie delle grandi catene, sento persone che si lamentano degli orari impossibili, dei turni che precludono il tempo libero con la famiglia e cose simili. Questa cosa, però, fa male, sia al brand che a chi ci lavora, nei punti vendita. E la sede centrale dovrebbe attivare politiche di monitoraggio del sentiment interno, se vuole attrarre nuovi clienti sui due piani di cui parlavo.
- Se hai un franchising e pensi a una bellissima iniziativa per i clienti finali, dovresti per prima cosa far in modo che i tuoi franchisee la sposino e la diffondano. Un’iniziativa come un concorso, in primis. I franchisor spesso si preoccupano solo di proporre ad alcuni negozi il progetto, chiedendo loro di aderire in cambio di un costo di gestione dell’iniziativa straordinaria progettata dalla sede. Questo crea già di per sé qualche problema: in primis perchè in genere non tutti aderiscono, così da creare confusione nella clientela (come mai da te posso partecipare e da quell’altro no?); e poi perché la percezione del franchisee è che ci siano talmente tanti costi aggiuntivi caricati su di lui che un’iniziativa in più non abbia sempre il focus giusto per fare la differenza e portare nuova clientela in negozio. E torniamo lì: perché aderire?
Ripeto, questo potrebbe non essere il caso di Carpisa, visto che i franchising hanno modalità diverse di invogliare la partecipazione alle iniziative di marketing (c’è chi prevede un costo annuale fisso, chi coinvolge gli affiliati, chi invece propone costi aggiuntivi una tantum, ecc.) ma
quando una realtà con più sedi decide di operare nei confronti del cliente finale, se vuole agire come brand, deve trovare il modo che la diffusione e il coinvolgimento nel progetto sia massimo.
Mi auguro che Carpisa, almeno, abbia tentato questa strada e che tutti i negozi abbiano aderito, se non altro per coerenza. Poi, d’altro canto, mi chiedo se non sarebbe stato possibile fare una specie di sondaggio tra franchisee e loro dipendenti per capire che sentiment potesse generare l’iniziativa, che se tanto mi da tanto, viste le reazioni dell’opinione pubblica, un “due più due” avrebbero potuto farlo prima di lanciarla.
7. L’analisi, prima di tutto. Come si può sfruttare la rete per capire pro e contro di un progetto di comunicazione. Anche a costo zero
Questionario, dicevo prima, anche a costo zero. Tra i propri clienti, visto che Carpisa ha una card, ad esempio, con tutti i dati. Ma anche interno, un questionario, tra franchisee e dipendenti degli stessi, o tra i suoi dipendenti in sede. Possibile che non fosse davvero capace, un brand così attento, di comprendere se una iniziativa di marketing avrebbe potuto dare poco o molto lustro alla sua reputation?
Carpisa ha 600 punti vendita nel mondo. Quanti saranno in Italia? Chi si occupa di ricerca potrà pur dirmi che i sondaggi, per avere valore, devono abbracciare un certo numero di persone, ma io mi chiedo davvero se un’azienda che vanta di avere delle policy interne di gestione del personale di un certo tipo non si sia posta minimamente il problema di offendere i giovani con questo progetto.
Ormai non è più difficile analizzare il mercato, organizzare gruppi di ricerca, fare dei sondaggi di opinione per capire se quello che abbiamo in mente possa funzionare o meno.
Ci vengono spesso tante belle idee creative rispetto a modi inusuali di dialogare con il mercato. Funzioneranno? Come possono essere visti all’esterno? Alle volte, semplificando, possono bastare 5 minuti di dialogo con 3 persone diverse per capire che se ci fermiamo a quanto sia bello un progetto sulla carta, rischiamo di farci male. E per un franchising la questione, a mio avviso, è ancora più delicata. Il franchisor non solo ha la responsabilità dei franchisee, ma della loro reputation di fronte ai clienti e al brand, e sono strettamente correlati, considerato che
gli affiliati, nei loro negozi, sono l’avamposto del marchio, prodotto o servizio, diventano la sua carta d’identità, la sua faccia di fronte a chi compra.
Soprattutto, con i franchising con cui mi interfaccio, noto spesso questa voglia di fare cose innovative a tutti i costi, per poi scoprire, dall’analisi, che mancano attività di base come la gestione di un CRM dei clienti, la corretta gestione degli strumenti di marketing online per franchising, una carta dei valori condivisa, la capacità di analizzare il territorio per le aperture e tante altre cose che non è il caso di trattare qui.
Carpisa avrebbe dunque potuto fare un’analisi veloce e avere risposte immediate sulla fattibilità di questo concorso e i risvolti che avrebbe potuto avere sull’opinione pubblica, aggiustando il tiro prima di lanciarlo? A mio avviso sì. Come ho detto nella prima parte, questo concorso poteva essere un’opportunità.
Quando ho cominciato a valutare l’impatto sociologico di un prodotto o di un servizio, cercando di capirne il posizionamento sul mercato, anche grazie alla figura di un sociologo bolognese dell’Università di Verona che ho tanto odiato ai tempi dell’Università e tanto apprezzato, poi, sul lavoro, Domenico Secondulfo, mi si sono aperti dei mondi sulle possibilità di comunicazione dei franchising, e oggi metto sempre in discussione la percezione che posso avere io rispetto al mercato e quello che invece il mercato sente o pensa di un prodotto o di un servizio. Siamo esseri umani influenzati, a mio avviso, da tantissimi input. Viviamo però di cliché e preconcetti e non è facile farci cambiare idea su alcune cose, specie se sono radicate nella nostra cultura.
Chiederci a monte cosa rappresentiamo o possiamo rappresentare per il nostro cliente è un passo che viene ancora prima del posizionamento della nostra marca nella loro mente. Le parole chiave che ci rappresentano cosa significano per loro? Cosa significa stage per un ragazzo? Cosa significa lavoro per chi ha da 18 ai 30 anni? Cosa significa realizzare un progetto creativo e che quel progetto venga realizzato? Un giovane vorrebbe avere la possibilità di fare dei progetti per un’azienda? E come vorrebbe che gli venissero riconosciuti? Queste cose avrebbe dovuto chiedersi Carpisa, se non altro se l’obiettivo del suo concorso voleva essere quello di abbracciare quel target di mercato, i ragazzi dai 18 ai 30 anni. Quale vero obiettivo vi sia dietro a questa iniziativa e come lo stiano misurando, ahimè, non lo sapremo – forse – mai.
8. Lanciarsi nel vuoto, senza paracadute. Perchè se sviluppi il tuo brand, prima ancora di un concorso, si potrebbe pensare a investire altrove. Tra brand reputation e community management
Dicevo che vengo coinvolta in progetti molto creativi per le aziende. Concorsi, campagne spettacolari, storytelling creativi con costi imponenti. E poi scopro che gli strumenti di Facebook per i franchising non sono settati, che non ci si è chiesti come fare un piano editoriale nazionale con degli obiettivi concreti, che mancano le sedi sulle mappe di Google e che Google My Business non è mai stato impostato.
Ancora peggio, capisco che non ci sono politiche di tutela del brand nei contratti, per l’online, laddove mancano le giuste voci che parlano di utilizzo dei social e dei siti internet. Magari, ancora peggio, mi rendo conto che alcuni franchisee, sconfortati da una mancanza di gestione interna, si sono organizzati con siti propri, che hanno sviluppato progetti paralleli che possono generare forme di concorrenza interna o – anche – mettono in discussione la credibilità del franchisor agli occhi degli altri franchisee.
Io credo che oggi i franchising dovrebbero per prima cosa mettere in ordine gli strumenti e dotarsi di risorse che li aiutino a gestire in maniera organizzata e strutturata tutti gli strumenti, dall’offline all’online.
In Italia ci sono tante lacune su questi aspetti, troppe. Se un brand lascia un’immagine buona di sé verso il suo cliente finale, il cliente si rivolgerà a quel brand, esso otterrà un buon posizionamento, i franchisee arriveranno proprio perché il brand può garantire clientela di un certo tipo.
Ho visto molte lacune negli strumenti online utilizzati da Carpisa, una gestione dubbia dei CRM e della Marketing Automation, tensioni nei negozi. Ho visto gruppi su Facebook che ne parlano parecchio male, commenti online difficili da gestire, una reputation sul prodotto abbastanza dubbia.
Al di là che il concorso potesse essere una bella opportunità, io credo che prima di questo ci sarebbero state delle cosine da sistemare, e che debba essere uno degli obiettivi di tutti i franchisor, non solo per una forma di rispetto dei franchisee, che vi si affidano, ma anche per una corretta gestione della propria presenza e della propria brand reputation, su cui non possono permettersi di sgarrare.
Quello che un tempo poteva essere un punto vendita “pecora nera” in un paesino sperduto, di cui nessuno sapeva nulla, oggi, con l’online, è visto in maniera universale e influenza anche tutti gli altri franchisee.
9. Il concorso perfetto. Ecco cosa avrebbe potuto fare Carpisa, aumentando l’investimento ma, potenzialmente, incrementando visibilità e credibilità aziendale
Quale poteva essere il concorso Carpisa perfetto, dunque? Proviamo a ripercorrere un piano strategico, partendo dall’obiettivo, ipotetico.
Obiettivo: voglio ampliare la percezione del brand Carpisa verso le ragazze più giovani
Come lo raggiungo? Ho pensato al concorso per un progetto creativo sul brand di Penelope Cruz. Idea: offro uno stage a chi mi presenta il miglior progetto così con 500 euro magari ottengo qualcosa di buono. Al massimo, ci avrò perso 500 euro e i costi di gestione del concorso. Questo è quello che hanno fatto, anche con scarsa fiducia nei giovani.
Come avrei operato?
- Visto che si tratta di un concorso, avrei cercato di capire se il premio sarebbe stato allettante. A chi lo chiedo? Al target. Come lo trovo? Online, ma anche nei miei negozi o nei miei uffici, o tra i figli dei miei dipendenti o franchisee. Un po’ di pensiero laterale, please.
- Mi sarei chiesta se questo premio rispettasse i valori del brand. Uno dei dati che oggi ho in mano di Carpisa è quello relativo alle notizie, diffuse dalla stessa azienda, su politiche di HR innovative, inserimento di lavoratori giovani e apertura a un mercato del lavoro più smart e young. Insomma, non mi immagino un Big G dei franchising, con piscina interna e tanti benefit (siamo pur sempre in Italia) ma un’azienda che nel suo piccolo ha questi principi.
- Avrei cercato di capire se, fuori, vi siano iniziative simili o vi siano state e avrei chiesto a chi le ha organizzate – potendo – la loro opinione. Ci sono le società che organizzano hackhaton che sono molto preparate sul tessuto sociale dei giovanissimi e la loro predisposizione rispetto a questo tipo di iniziative.
- Dai risultati, avrei tratto spunto per trasformare il progetto in una iniziativa non solo di promozione su un target, ma di storydoing, per raccontare la mia azienda e la sua vision, oltre che il tessuto interno, sposando la comunicazione interna e quella esterna in un progetto di storytelling che andasse a raccontare non solo il pre del concorso, ma anche il durante e, dopo, lo stage, trasformando il ragazzo o – più presumibilmente – la ragazza, in una specie di testimonial “de noantri”, una persona che veramente vive l’azienda e i suoi valori e li può trasmettere. In un mese? Direi di no… ecco, quello no.
- Avrei cercato di chiedermi con dei formatori o dei coach come costruire un progetto di stage di valore, in modo che anche fuori dall’azienda, vincitore o vincitrice potessero mantenere alto il concept dell’iniziativa, anche dopo.
- Avrei cercato di capire quale fosse il vero premio in denaro adatto a quello che chiedevo.
In sostanza, come ho già accennato prima, avrei fatto un concorso diverso, dove l’analisi, che sto facendo ora ma che un colosso come Carpisa avrebbe sicuramente potuto fare a monte, trasformasse davvero un’idea in un’opportunità, non solo per il marchio ma anche per i franchisee.
Immaginiamoci un concorso tipo:
Ti piacciono le borse della collezione Cruz? Ti piacerebbe diventare il responsabile del prossimo progetto Carpisa e sviluppare un tuo piano marketing internamente all’azienda, coadiuvato dal nostro reparto marketing, per imparare veramente come avviene il lancio di un prodotto e avere la possibilità di firmarlo con il tuo nome?
Carpisa cerca te! Candidati online (senza obbligo di comprare una borsa!) e presentaci il tuo progetto, in base a questo brief (e qui un brief dettagliato). Inviaci un documento che abbia al suo interno almeno queste caratteristiche (con la definizione del formato e uno standard di presentazione, uno schema). Una giuria di esperti composta da (nomi e cognomi o quantomeno ruoli, tipo direttore marketing Carpisa, presidente, un esponente universitario, per esempio, ecc.) valuterà gli elaborati e i 10 migliori verranno chiamati in Carpisa per presentare il progetto alla giuria (spesati dall’azienda, con visita interna e presentazione delle iniziative, ecc. ecc.) che valuterà il candidato ideale per uno stage di 6 mesi per lo sviluppo del progetto, a Napoli, con rimborso spese e vitto e alloggio a carico dell’azienda. Il progetto vincitore riceverà un premio di x euro (qui da quantificare) mentre gli altri nove riceveranno dei – buoni? – da spendere in Carpisa (?) oppure altri micro premi per aver partecipato ed essere stati a Napoli, tipo (da valutare, insomma). La giuria valuterà in base a questi parametri (e giù un elencone molto chiaro). Gli obiettivi dello stage saranno … (e anche qui il valore aggiunto di dire: posso mettere nel CV di aver fatto questo tipo di esperienza, e non farò uno stage a fare fotocopie…).
A fronte di questo sarebbero stati da raccontare tutti i momenti pre, fino all’inserimento in azienda dello stagista e una specie di diario di bordo delle sue giornate.
Costoso? Complesso? Certo! Ma quanto verranno pagate le Cruz per mettere la loro firma su una linea di borse? Io credo che al di là del progetto il valore aggiunto di un concorso simile vada ben oltre un tentativo di dialogo con questo target. Quanti marketer, riviste, giornali, avrebbero potuto parlare dell’iniziativa, se l’avessero realizzata così?
10. Purché se ne parli. Ha stancato. Ma funziona?
Ormai è risaputo che il trend degli haters è uno dei nuovi trend delle strategie di marketing e che ci sono delle iniziative che nascono dalla conoscenza delle dinamiche dell’ingerenza dell’opinione pubblica per lanciare un prodotto o un’iniziativa e farne parlare più a lungo possibile. Ne abbiamo disquisito a lungo sul caso Buondì Motta, che non è la sede giusta per parlarne, e sinceramente non vorrei qui arrivare a creare una parentesi così lunga da abbracciare anche questa tematica.
Io non credo, per la reazione di Carpisa, che questo sia uno di quei casi in cui si è deciso di far leva sugli haters per trascinare un pubblico. Si entra troppo in un ambito delicato come quello del lavoro su cui i giovani non vogliono per nulla scherzare.
Vedremo se Carpisa saprà cavalcare l’onda, trasformare questo miserrimo mese in una vera opportunità per ribaltare la percezione che continua a persistere di questo concorso. Vedremo se, tra tante righe scritte in merito, oltre che rispondere con poche righe da ufficio stampa, sarà in grado di ribaltare una percezione diffusa, che passa dallo sfruttamento di chi lavora nei negozi e arriva a uno stage sottodimensionato per ripagare un’idea.
Vedremo, dicevo, perché le iniziative di marketing vanno comunque valutate sui numeri, e sono pronta a ricredermi, che magari il tessuto sociale intorno a Carpisa si sia mosso in maniera proattiva rispetto a questo progetto.
Al di là di questo, per costi, modalità, gestione, approccio, non avrei mai proposto un’iniziativa così, come l’abbiamo vista sulla carta, a un mio cliente, specie se si tratta di un franchising, laddove spesso anche i franchisor più attivi e capaci vengono visti con sospetto perché è ormai diffuso che i franchisee vengono attratti, carpiti, contrattualizzati e poi abbandonati al loro destino.
Se un franchising in Italia vuole fare la differenza credo debba passare dalla percezione della gestione dei suoi franchisee, offrendo strategie locali di creazione della clientela e sua fidelizzazione,
accompagnando un imprenditore a diventare tale, dando tutti gli strumenti a chi si fa da promotore del suo brand sul territorio per avere introiti tali da giustificare l’investimento, creando dinamiche di partecipazione e coinvolgimento che siano in grado di supportare anche i franchisee meno attivi, come in una famiglia, in cui proprio perché si crede nel brand, si sostiene chi lo porta all’esterno.
Un concorso che dice, di fatto: vi facciamo un piano di marketing con uno stagista pagato per un mese, a mio avviso, non sostiene questa filosofia, né verso il mercato, né verso gli affiliati, che meritano altro.
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Aprire in franchising, con te, ma perché? Chi sono i tuoi clienti?
Franchising, e clienti. Quanti e quali sono? Qual è il tuo target?
I Franchising hanno dinamiche strane, rispetto agli altri business, perché hanno due tipologie di clienti: i franchisee e i clienti dei franchisee. Spesso i master franchisor si concentrano solo sui franchisee, dimenticando i clienti finali.
Proviamo a capire cosa muove un franchisee, partendo da un’esperienza pratica: lo scorso Salone del Franchising di Milano. Vedremo insieme, con qualche riflessione:
- le leve che muovono un potenziale franchisee
- la zona dove apre e la confusione di alcuni franchisor
- i motivi per cui il cliente finale attrae anche nuovi franchisee, aiutando lo sviluppo della rete
Perché le persone pensano al franchising?
Aprire una propria attività, scegliere di mettersi in proprio, magari realizzare il desiderio di una vita, oppure cercare la strada per una vita diversa da quella impiegatizia. Negli ultimi anni, dal 2008 in poi, anno fatidico di quella che ormai – è certo – non si può più chiamare solo crisi, sono molti gli italiani che hanno pensato che era giunto il momento, o era necessario, mettersi in proprio, cambiare. Verso cosa?
Sono aumentate, esponenzialmente, le richieste di aprire in franchising. Se hai un brand che si sviluppa su più sedi, dovresti saperlo.
Quale strada percorrere per aprire in franchising?
Una conoscenza un tempo mi disse: se hai un entourage di dipendenti, difficile che ti siano utili per capire come metterti in proprio.
Se vuoi consigli per fare l’imprenditore, chiedi a un imprenditore di successo.
Sacrosante parole. Sei un franchisor? Ci hai mai riflettuto?
Se il sogno imprenditoriale dei tuoi potenziali clienti è quello di avere un negozio, un ristorante, un bar, stando a contatto con il pubblico, vedendo quotidianamente i risultati del proprio operato, ma a casa propria non c’è nessuno che li aiuti a capire come fare, non è semplice.
Franchising come possibilità di mettersi in proprio…
Ho collaborato con una realtà che si occupa di aiutare i giovani a creare il proprio progetto di vita. Lì ti consigliano di metterti in contatto con qualcuno che diventi il tuo mentore. Facile? Difficile? Non così tanto come può sembrare, l’ho provato sulla mia pelle. Sta di fatto che la cosa migliore sarebbe poter provare, fare il vecchio lavoro del garzone di bottega. In realtà, molti ambiti hanno ancora questa dinamica, basti pensare ai parrucchieri, alle estetiste, ai muratori, ecc. In questi lavori è abbastanza comune cominciare da apprendisti (non solo contrattualmente, ma con il vero valore che il termine ha) e poi, raggiunta una certa indipendenza o una consolidata sicurezza (alle volte anche solo economica), aprire qualcosa in proprio. Se si è stati fortunati, in genere, si sono apprese non solo le tecniche del mestiere, ma anche capacità imprenditoriali come gestione dei conti, della comunicazione, delle vendite, ecc.
Lo so, non sempre è così. Idealmente lo era un tempo e dovrebbe esserlo ora.
Questo articolo lo scrivo dall’Irlanda, dove ci sono tante esperienze (experience = visite) nelle fabbriche delle birre e del whiskey. In ognuna di esse ti viene mostrata l’arte del bottaio: 7 o più anni di prove e riprove per smarcarsi dal maestro e poter lavorare in proprio (alle volte sposandone la figlia). Si chiama anche passaggio generazionale, e un tempo non veniva fatto solo coi propri figli.
OK, chiudiamo la parentesi “apprendistato”.
Cosa succede se qualcuno le caratteristiche per fare l’imprenditore non ce le ha? O meglio, se non si sente pronto? Personalmente credo fermamente che non si nasca qualcosa o qualcuno, ma che si sia in un divenire di mutazioni e cambiamenti che ci portano a costruire cosa siamo, in base a quello che desideriamo. Chiudiamo anche questa parentesi, altrimenti divento troppo filosofica.
Ho una mia teoria, dunque, non comprovata, spesso, ahimè, dai fatti, che se si ha quella spinta interiore a fare qualcosa di diverso e mettersi in proprio e non se ne ha il coraggio, ancora, il franchising sia un passaggio intermedio di aiuto. Uso il condizionale, d’obbligo, perché dopo aver studiato il sistema dei network franchising americani, qualche dubbio sull’impostazione di quelli italiani mi è venuto.
Ho avuto la fortuna di lavorare per un po’ di anni per un franchising che, per fortuna – dicevo -, ha un approccio formativo, di squadra, verso i propri franchisee, ma guardandomi intorno, quando ho scelto di fare da consulente per le aziende di questo settore, in particolare per quelle con una rete di filiali sul territorio, devo dire che sono rimasta basita.
Il Salone del Franchising e i fuffa – franchisor
Lo shock più grande mi è arrivato dal Salone del Franchising dello scorso anno.
Mi occupo di marketing per franchising da tanto tempo e ho raggiunto la consapevolezza che i franchising siano un mondo molto particolare, in cui si incrociano due livelli di comunicazione, branding e target. A spiegarlo fuori dall’Italia si tratta di ovvietà, ma qui da noi, per nulla, e in fiera ne ho avuto la dimostrazione.
Cosa ho fatto? Beh, come per ogni fiera che si rispetti, ho girato molto, raccolto brochure, fatto domande. Inizialmente avevo un approccio più commerciale, poi ho scelto di fare qualcosa di diverso: fingermi un potenziale franchisee.
Mi sono detta: e se mi mettessi nei panni del mio potenziale affiliato?
Mettersi nei panni del proprio cliente, analizzando il suo processo di acquisto, è una cosa che dovrebbero fare tutte le aziende
e che trovi spiegata molto bene nel libro che suggerisco a tutti gli imprenditori con cui mi confronto, scritto da due dei miei “mentori” (non me ne vogliano se li chiamo così), Manuel Faè e Alessandro sportelli (Il succo del Web Marketing).
Mettersi nei panni del proprio affiliato
Dunque, io sono un cliente esigente, o meglio ho una mia idea del cliente ideale del franchising. Giusta o sbagliata, dovendo percorrerne una, ho scelto questa: persona che si informa, legge, studia, approfondisce tecniche di vendita e di comunicazione e che ha questa spinta primordiale nella pancia verso la voglia di avere qualcosa di suo. Mi sono così approcciata ai vari stand per chiedere informazioni. Quando dicevo che avevo intenzione di aprire, tutti molto molto disponibili, ovviamente. Poi arrivava il momento di chiedere per la zona. Qui già cominciavano le prime falle del sistema: pochi mi sapevano dire se avrei avuto esclusiva o meno, alcuni me la garantivano a parole ma non mi assicuravano una formula scritta, altri mi dicevano che era così da contratto ma con clausola di modifica nel caso in cui il franchising si fosse espanso.
Quale bacino serve al tuo franchisee per aprire?
Prima nota quindi: quale bacino serve al tuo franchisee per aprire? Quale target dovrebbe raggiungere? In che zona si trova il target e come puoi fare per aiutarlo a capire se sia giusta o meno la zona che ti propone?
Io credo che questa sia una cosa basilare, no? Una delle idee che avevo, fin dall’inizio, sui franchising, è che dovrebbero aiutarti a fare una cosa ottimale per il business che vuoi aprire, che è anche sinonimo di protezione del proprio brand.
Avete mai visto cosa fanno le grandi catene di supermercati, per esempio? Guardate un po’ la pagina di Lidl, o spulciate i giornali, talvolta.
Se Lidl ha individuato un bacino ottimale per l’apertura di uno dei suoi store si attiva per cercare capannoni o aree edificabili per realizzarlo. Viceversa, altri Super o colossi del settore, valutano l’area e decidono se poi aprire. Guarda caso, in quelle aree poi ci nascono degli interessanti poli commerciali, buoni o cattivi per l’economia locale, che siano.
Insomma, dietro al reparto sviluppo di big brand come Lidl, Esselunga, McDonald e altri, ci sono servizi di ricerca delle aree, di studio del territorio, ecc.
Come si fa a capire se quella zona è ok o meno per dare l’ok all’apertura al proprio potenziale franchisee?
Beh, ci sono delle società di consulenza che fanno questi studi. Costano. Certo. Però, di fronte alle risposte vaghe e disomogenee degli imprenditori o commerciali incontrati al Salone del Franchising, che dire? Io credo che il gioco valga la candela.
Ad ogni modo, ogni tanto mi chiedo come si facesse un tempo, quando internet non aiutava. Ebbene, interpellando qualche commerciale con un paio di annetti di esperienza sulle spalle, ho scoperto che un tempo i costi di apertura di un franchising o di un supermercato erano ancora più elevati, se paragonati a quelli odierni.
Di fatto la persona che si occupava dello sviluppo andava fisicamente nella zona in cui si doveva aprire, la studiava, andava nelle biblioteche e negli archivi (questi sconosciuti) a documentarsi sul tessuto sociale ed economico di quel territorio, studiava la sezione economica dei giornali locali, con un occhio a qualche articolo interessante, se presente, a livello nazionale.
E poi chiedeva: si facevano dei sondaggi, per capire meglio quale fosse l’impatto di una nuova attività su quell’area, come fossero gli introiti di realtà simili nella zona, ecc.
Qualsiasi informazione era utile per stendere una relazione ineccepibile per la sede, con un verdetto finale: apriamo o no?
Oggi ci sono i software, le società di consulenza, alcune per altro, molto competenti. Ci sono anche gli archivi online, libri, giornali, notizie e, spesso, i quotidiani locali hanno un sito con molte news. Alla luce di questo si può dunque capire fin da subito se ci sia un tessuto interessante per muovere un’attività verso quel paese o quella zona? Io direi di sì.
I due target di un franchising
Alla base, però, c’è da tener conto del target. L’affiliato? No!
Il cliente dell’affiliato. Almeno principalmente.
I franchising, ma qualsiasi realtà con più sedi, hanno due anime: una rivolta a chi li aiuta a svilupparsi, gli affiliati, o soci, o franchisee; l’altra rivolta a chi aiuterà loro a campare, ovvero il cliente finale.
Senza cliente finale non sussisteranno i negozi, senza negozi che si sostengono anche il franchising morirà.
È così difficile da comprendere?
Franchisee e suo cliente: queste due anime possono essere spesso molto differenti e distanti.
Se, ad esempio, ho una catena di negozi per bimbi, non è detto che l’imprenditore che apre con me debba essere una mamma. Il mio cliente finale, invece, per lo più lo sarà. Certo, il canale mamme/bimbi è più facile, ma anche molto competitivo e saturo, direi.
Come si fa a capire il target di un negozio in franchising?
Si analizza, tutto.
In azienda spesso si detengono dati che nemmeno si immaginava di avere, o – se non ci sono – semplicemente si fa ricerca, una sana ricerca.
Se un brand che apre in franchising non si muove in questo senso, eticamente, ha qualche problema. Una delle ricerche online che ho incrociato spesso riguarda “causa contro franchising”. Non servono spiegazioni ulteriori – vero? – per capire che nel nostro paese ci sono più attività che aprono solo con l’intento mordi e fuggi (o piglia i soldi e scappa) che franchisor intenzionati a crescere, mantenersi, far davvero in modo che i propri franchisee aumentino i loro fatturati, raggiungano il break even e diano buon lustro al marchio che portano. Lo ha dimostrato la mia visita al salone.
La promozione di un affiliato sul territorio
In una fase successiva a quella di richiesta di apertura ho cercato di capire come si svolgesse la promozione sul territorio della nuova attività aperta. Purtroppo, ho ricevuto molte idee e poche strategie: chi mi diceva che fanno advertising, chi affermava che avrebbero dato in mano a un’agenzia, chi, con supponenza, mi rispondeva solo con “certo, il nostro reparto marketing fa promozione!”. Quando ho cercato di approfondire sul fatidico reparto marketing, sul tipo di promozione, o sulla strategia, nulla, il vuoto più assoluto. E questo capitava sia per le startup che per i franchising con qualche anno sulle spalle.
Certo, diversa sarà la situazione in cui i franchisor mettono degli investimenti nei negozi. Io in questo momento parlo di franchising con richiesta di investimento totale da parte dal potenziale imprenditore. Un tempo si parlava di win win… in questo tipo di affiliazione ne ho vista poca, di questa teoria, applicata.
Il fatto è che in Italia, ahimè, quando nascono delle imprese, si pensa sempre che la parte commerciale, di vendita, sia quella preponderante e che il responsabile commerciale, o addirittura il titolare, possano accollarsi la parte di marketing. In realtà, le due dovrebbero convivere e dovrebbero lavorare insieme per costruire un percorso che sia utile al commerciale per il suo lavoro (che dovrebbe essere sempre più “inbound” che a freddo, ma ne parleremo in una prossima intervista) e al capo per affermare il brand.
Che tu stia creando un franchising da zero o che ne abbia uno avviato, se non hai un reparto marketing che ti supporti a lavorare sui due canali di acquisizione dei tuoi clienti, qualcosa non sta funzionando,
a meno che il tuo intento non sia fare soldi subito, sulle spalle dei franchisee, di persone che hanno creduto alle tue parole e alle tue promesse pensando di potersi creare un’impresa con te. Io non lo so, ma a me verrebbe un pochino di mal di pancia a lavorare così.
La mission di un franchisor
Se hai ideato un brand e hai creduto che la diffusione in franchising fosse la strada da perseguire, in teoria dovresti volergli bene come a una figlia, che fai sposare con il miglior uomo possibile.
Io penso che questa sia una delle mission che un franchisor potrebbe far propria: capire che chi apre, forse, è una persona che ancora non ha il coraggio di spiccare il volo da sola e che, lavorandoci bene, possiamo darle le ali. Volerà via o tornerà al nido? Non importa, l’importante è che il brand ne risenta positivamente, che il lavoro svolto sia buono e possa attrarre altri franchisee.
Nel mio lavoro aiuto le imprese con più sedi a capire il loro target e a definire la giusta strategia per diffondersi, su entrambi i canali. Non è un lavoro facile, non è veloce, non è immediato. Se stai aprendo un franchising non si può creare entro domani. Se, però, ti interessa approfondire, puoi lasciarmi la tua email, così da ricevere i prossimi articoli che pubblicherò su questi argomenti: marketing e comunicazione per franchising e imprese con più sedi.
Grazie di aver letto fino a qui e se ti fa piacere, condividi l’articolo con chi pensi possa trovarlo utile.
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Facebook Locations: novita’ dello strumento per reti di negozi e franchising
Esce oggi, dopo gli aggiornamenti di mercoledì scorso, una nuova comunicazione di Facebook in merito a uno strumento che da un paio di anni usiamo per i nostri negozi in franchising: Facebook Locations.
Mi sono proposta di fare una mia analisi, con i link agli articoli ufficiali di Facebook, le maggiori novità e qualche considerazione.
Innanzitutto, partiamo da mercoledì scorso. È uscito un aggiornamento sulla piattaforma Facebook for Business su Facebook Locations, lo strumento che raggruppa sotto una pagina padre le pagine “figlie” di un determinato brand.
Cos’è Facebook Locations?
Facebook Locations è uno strumento utile per franchising e reti di negozi e per tutte quelle strutture che hanno più sedi sul territorio. Due anni e mezzo fa, quando avemmo il primo contatto aziendale con Facebook, fu l’account di Facebook stesso a chiederci un file excel con l’elenco di tutti i nostri negozi per poterlo inserire sulla nostra pagina principale. Mercatopoli e Baby Bazar furono i primi in Italia ad avere a disposizione questo nuovo strumento, che di fatto andava a creare una nuova tab sulla pagina di brand, collegata con le pagine dei punti vendita sul territorio.
Il valore aggiunto di questo strumento, oltre all’identificazione del franchising e della rete di negozi, che andava ad implementare la riconoscibilità del marchio e la brand awareness, oltre alla credibilità di un marchio, è sicuramente lato mobile: collegandosi alla pagina “padre”, ossia quella del marchio, è possibile infatti vedere i punti vendita più vicini al punto in cui si è geolocalizzati.
Un bel vantaggio sia per i punti vendita che per l’utente. Ovviamente, ciò prevede che si sia fatta un’oculata strategia local per i punti vendita, che devono essere tutti dotati di una pagina dedicata (non è così scontato, neanche per brand che operano in franchising molto più grandi del nostro). Parlo di padri e figli non a caso. Quando il servizio nacque, infatti, il suo nome era “Facebook parent-child”, ad indicare la struttura ad albero pensata proprio per le reti di negozi.
Come si è evoluta la piattaforma Facebook parent-child?
Facebook non ha mai spinto questo strumento, che è rimasto apparentemente nei cassetti degli sviluppatori per mesi, prima di trovare un po’ di luce.
Lo hanno dimostrato la difficoltà di accesso alla piattaforma, a cui iscriversi non è poi così semplice (rimando per questo all’ancora valido articolo di Enrico Gualandi, che si è cimentato con il servizio lo scorso anno, oppure all’intervento “Il curioso caso di Facebook Local e Business Manager” che ho tenuto con Valentina Vellucci a Social Media Strategies lo scorso 14 ottobre, di cui è possibile acquistare le videoregistrazioni su GT Master Club).
Dicevamo: non è facile accedere. In effetti, Facebook, anche secondo le indiscrezioni di alcuni account che avevamo sentito, aveva messo il servizio in beta, senza ben sapere cosa farne. Oltre a quanto detto, lo dimostrava anche il fatto che Business Manager non fosse stato integrato con Locations (e ancora non lo è, in realtà). Quando abbiamo chiuso il nostro grey account per aprire il Business Manager di Leotron abbiamo sperato che ci fossero delle utili integrazioni, ma non sono arrivate, anzi, abbiamo anche riscontrato alcune difficoltà oggettive di sincronizzazione e aggiornamento che magari spiegherò in altra sede.
Qui apro una parentesi. Si chiama Google. Anzi, si chiama Google My Business. Anzi, la chiamo san Google My Business, ora.
Sì, perché il buon Mark, come lo chiamo io, per fortuna c’ha sempre qual sassolino nella scarpa che ha una bella G sopra e gli dà un botto fastidio. Diciamocelo: nonostante Plus, sui servizi ai clienti, agli inserzionisti e ai brand Google è sempre stato una spanna avanti a Facebook e Zuck ha seguito il corso implementando tool che si rifacevano a quelli di BigG.
Ha scopiazzato? Per fortuna, direi!
Soprattutto ora che Locations ha trovato una sua collocazione e pare sia stato legittimato! Sì, perché a me ‘sta cosa di averlo reso più utilizzabile e di averne fatto uscire degli articoli che spiegano ai business l’opportunità di averlo fa tanto “rincorsa a My Business”. Quindi, grazie Google!
Le recenti possibilità offerte da My Business per franchising e reti di negozi hanno dato lo svegliarino a Mark su quello strumento in beta che si era dimenticato nei cassetti? Ben venga!
Quali sono le novità del nuovo Facebook Locations?
Veniamo dunque a noi. Arriva l’aggiornamento su Facebook Locations dell’altro ieri. Cosa succede? Cosa ci spiega Facebook? In realtà nulla di nuovo, in quel primo articolo (che poi è chiaro, serviva per lanciare il secondo 😉 ). Vengo però a spiegarvelo meglio.
1. “With Facebook Locations, you can connect and manage all your stores on Facebook. Our free tool lets you quickly add new store Pages, edit information for existing stores, and manage your locations from one central spot.”
Facebook spiega cos’è Locations e cosa offre. E grazie eh! Dopo due anni e mezzo di utilizzo ci sembrava doveroso arrivare a dire di cosa si trattava (se per caso millemila blog non l’avessero già fatto…). Io mi immagino gli sviluppatori che si rendono conto di aver implementato lo strumento per le ADS (vi anticipo ciò che dirò dopo) e che dicono: “Ok, presentiamolo”. E mi immagino chi gestisce le news che dice: “Dove lo inseriamo? Nell’area dedicata a Facebook Locations?”… silenzio… “Ah, non l’abbiamo mai fatta?”
Ecco, questo mi immagino, perché mi sembra che Facebook sia un po’ un’azienda de noantri, vedendo le ultime implementazioni. E non mi dispiace, eh, fuor di polemica.
2. “Locations lets you list and manage all your stores on Facebook so everyone can find you in Facebook search, or when they land on your main business Page. This is especially important for people using their mobile phone to find information on the go.”
Anche in questo caso: grazie! Facebook Locations è particolarmente utile per l’utilizzo mobile. Non ce ne eravamo resi conto… 😉
3. “Changes and updates go quickly with Locations dashboard. One convenient spot lets you efficiently view and manage all of your stores.”
Gestisci le tue località in un solo posto. In questo caso, mi vien da dire “ni”. E’ pur vero che per inserire nuove pagine è possibile agire dall’applicazione Luoghi dell’area Strumenti (si chiama così nella versione italiana di Facebook, accessibile per chi ha attivato il servizio dagli strumenti della pagina brand). E’ altrettanto vero che la gestione dei Luoghi di Facebook ha qualche neo, specie se i negozi da associare hanno un nome proprio unito al brand, e non solo il nome del marchio sotto cui stanno. Su questo conto di fare un approfondimento a tempo debito… ovvero fra poche righe :).
Si aprono, alla fine della presentazione dello strumento, una serie di FAQ che lo spiegano meglio e, in realtà, mostrano alcuni aspetti dello stesso da non sottovalutare.
4. Facebook Locations si attiva su richiesta. Peccato che non ci sia un link per richiederlo. Non ancora, almeno.
5. La pagina padre può definire i loghi (immagini profilo) e le copertine con cui si presentano le pagine dei negozi o franchisee. Grazie a Dio, mantenendo una certa identità individuale, i negozi potranno però avere loro copertine e loghi individuali e personalizzati.
6. Qui veniamo all’aspetto per noi cruciale:
“[…] all of the location Pages connected to your main Page must have the same name. The default name for location Pages is the main Page’s name (e.g. Jasper’s Market), complemented by a location descriptor that tells people which store the Page refers to.
The location descriptor is “(City)” by default — or “(Address, City)” if there are multiple locations in the same city (e.g. Jasper’s Market (Dallas) or Jasper’s Market (510 Main St., Dallas)). If you have Admin permission for the main Page, you can edit the location descriptor from the Locations section of your Page’s Settings. Or, managers of the location Page can edit this field from the Page’s About section.”
Facebook vorrebbe che le pagine prendessero tutte il nome di brand e che l’identificazione locale derivasse dall’inserimento dell’indirizzo o della città fra parentesi tonde. Facebook ha deciso che questa cosa gli era così simpatica da aver agito di prepotenza, una ventina di giorni fa, di commutare automaticamente tutte le pagine di Mercatopoli e Baby Bazar all’interno di dei Luoghi di Facebook, senza preavviso e senza giustificazione. Non vi sto a dire quali santi siano scesi dal cielo in quell’occasione, specie dopo aver agito manualmente per sistemare (con notevole dispendi di tempo). Quello di cui non tiene conto Facebook, infatti, in questa occasione, è il fatto che alcuni franchising, come anche il nostro, identificano i loro punti vendita con un nome proprio, per diverse esigenze. Ne riporto alcune, per dovere di allineamento rispetto alle considerazioni su questo aspetto:
- Quando vi sono due negozi nella stessa città si associano delle diciture per distinguerli
- Quando si vuole connotare con precisione un quartiere dove insiste il negozio, per posizionarlo, si può associare quel quartiere
- Quando il negozio insiste su un’area industriale, si può scegliere di usare la dicitura che la rappresenta (es. aree di grossi centri commerciali)
- Quando un punto vendita si trova al confine fra più comuni si può scegliere di inserire nel nome il comune più noto anziché quello in cui si geolocalizza fisicamente.
Queste sono ovviamente politiche di brand, ma quanti di noi andando a un Road House di Bologna, per esempio, dicono “ci troviamo a quello di Stalingrado o andando al McDonald dicono “quello della ZAI”?
Quando i marchi in franchising penetrano il territorio non è semplice identificarli, se non si danno dei nomi agli store.
Oltretutto, se si gestisce un franchising come il nostro, che ha delle specifiche peculiarità locali, perché i gestori e i punti vendita sono uno differente dall’altro nella gestione e nel rapporto con la clientela, proprio per la singolarità dei prodotti che propongono, se un cliente si collega a un Mercatopoli o a un Baby Bazar piuttosto che a un altro non è propriamente la stessa cosa. Non sto dicendo che ne debba preferire uno piuttosto che l’altro nella stessa città, ma che è giusto che possa scegliere con quale interagire e con quale interfacciarsi, soprattutto su Facebook e se il punto vendita è stato educato a gestire i social in termini identificativi.
Ho aperto una parentesi che meriterebbe uno studio infinito. La lascio aperta, perché a mio avviso non finiranno le considerazioni in merito. La lascio aperta anche perché mi piace sperimentare… e quindi voglio vedere dove andremo ;).
Torniamo alle nostre novità.
7. Notifiche in un solo luogo. Anche questo lo sapevamo. Accedendo ai luoghi di Facebook dall’area strumenti della pagina di brand o del franchisor sarà possibile vedere tutte le notifiche delle pagine. Non male, sulla carta. Un po’ laborioso nelle attività quotidiane, specie da mobile. Ma siamo fiduciosi.
5 novembre 2015: nuovi aggiornamenti a facebook Locations per inserzionisti e community managers
E ora veniamo all’aggiornamento odierno. Oggi Facebook for Business ha fatto uscire un nuovo aggiornamento sulle Locations: Two New Tools to Improve Local Marketing.
Facebook annuncia che dopo il rilascio delle ADS per la local awarness (ads di prossimità), che noi stiamo tuttora testando, ha implementato le ads che il brand può collegare alle diverse pagine, andando a fare un’unica azione che si ricollega con le località collegate al brand. Apparentemente, secondo quanto dice Facebook, non solo si può scegliere di fare un’azione globale, a livello locale, dal brand, ma si può anche scegleire se questa azione sia fatta su determinati punti vendita e non su altri. Meraviglioso, direi! Oltre a questo, anche le statistiche sono state semplificate.
Questa la dichiarazione di Facebook:
“Businesses, no matter where they are and how many stores they have, now have better ways of connecting with the people around them.
Updates to local awareness ads are now available globally through the API and will soon be available in Power Editor. Local insights are rolling out to Pages in the US starting today and over the coming weeks.”
… Soon available in Power Editor, dunque! Grazie Mark, non vedevamo l’ora!
Dunque, concludendo, qualche considerazione sulle novità di Facebook Locations
- Nuove modalità di fare le campagne per franchising e reti di negozi
- Nuove possibilità di monitorare le attività svolte, l’andamento delle pagine, gli insights
- Il riconoscimento ufficiale delle Locations (anche se non c’è ancora il link ufficiale per richiederle)
Quando ti trovi a gestire 150 negozi collegati al tuo brand e stai mettendo in atto strategie di web marketing importanti su Facebook, queste sono bellissime notizie. Certo, ci sono alcuni aspetti da sistemare, come la gestione di Business Manager collegato alle locations e tutta la politica di tutela delle pagine brand.
Però un passo si è fatto, se non altro per togliere Facebook Locations/Luoghi da quel cassetto polveroso in cui era solo in beta e dargli finalmente la dignità che merita.
Sì, perché i Luoghi di Facebook sono innanzitutto una possibilità, specie quando sai che la gran parte del pubblico arriva da mobile.
Ora ci sarà da vedere se ciò sia correlato ai Bitcoins di Facebook, l’altro progetto in beta di cui i marketer parlano da qualche tempo, ma che pare si sia arenato un un altro cassetto. Con le vecchie parent-child e le opportunità offerte da Locations la mia mente ha iniziato a vedere galassie ancora inesplorate… ma
con Mark, si sa, meglio non aspettarsi niente, perché le sorprese sono all’ordine del giorno (e poi con l’erede in arrivo, si sa mai, se non lo fa dormire la notte chissà che ci propina…)
Grazie di essere arrivato a leggere le mie elucubrazioni fino a qui.
Buon lavoro a tutti con Locations. Scrivetemi, commentate, chiedete. Spero che questo articolo porti prima di tutto un utile confronto.