Franchising, e clienti. Quanti e quali sono? Qual è il tuo target?
I Franchising hanno dinamiche strane, rispetto agli altri business, perché hanno due tipologie di clienti: i franchisee e i clienti dei franchisee. Spesso i master franchisor si concentrano solo sui franchisee, dimenticando i clienti finali.
Proviamo a capire cosa muove un franchisee, partendo da un’esperienza pratica: lo scorso Salone del Franchising di Milano. Vedremo insieme, con qualche riflessione:
- le leve che muovono un potenziale franchisee
- la zona dove apre e la confusione di alcuni franchisor
- i motivi per cui il cliente finale attrae anche nuovi franchisee, aiutando lo sviluppo della rete
Perché le persone pensano al franchising?
Aprire una propria attività, scegliere di mettersi in proprio, magari realizzare il desiderio di una vita, oppure cercare la strada per una vita diversa da quella impiegatizia. Negli ultimi anni, dal 2008 in poi, anno fatidico di quella che ormai – è certo – non si può più chiamare solo crisi, sono molti gli italiani che hanno pensato che era giunto il momento, o era necessario, mettersi in proprio, cambiare. Verso cosa?
Sono aumentate, esponenzialmente, le richieste di aprire in franchising. Se hai un brand che si sviluppa su più sedi, dovresti saperlo.
Quale strada percorrere per aprire in franchising?
Una conoscenza un tempo mi disse: se hai un entourage di dipendenti, difficile che ti siano utili per capire come metterti in proprio.
Se vuoi consigli per fare l’imprenditore, chiedi a un imprenditore di successo.
Sacrosante parole. Sei un franchisor? Ci hai mai riflettuto?
Se il sogno imprenditoriale dei tuoi potenziali clienti è quello di avere un negozio, un ristorante, un bar, stando a contatto con il pubblico, vedendo quotidianamente i risultati del proprio operato, ma a casa propria non c’è nessuno che li aiuti a capire come fare, non è semplice.
Franchising come possibilità di mettersi in proprio…
Ho collaborato con una realtà che si occupa di aiutare i giovani a creare il proprio progetto di vita. Lì ti consigliano di metterti in contatto con qualcuno che diventi il tuo mentore. Facile? Difficile? Non così tanto come può sembrare, l’ho provato sulla mia pelle. Sta di fatto che la cosa migliore sarebbe poter provare, fare il vecchio lavoro del garzone di bottega. In realtà, molti ambiti hanno ancora questa dinamica, basti pensare ai parrucchieri, alle estetiste, ai muratori, ecc. In questi lavori è abbastanza comune cominciare da apprendisti (non solo contrattualmente, ma con il vero valore che il termine ha) e poi, raggiunta una certa indipendenza o una consolidata sicurezza (alle volte anche solo economica), aprire qualcosa in proprio. Se si è stati fortunati, in genere, si sono apprese non solo le tecniche del mestiere, ma anche capacità imprenditoriali come gestione dei conti, della comunicazione, delle vendite, ecc.
Lo so, non sempre è così. Idealmente lo era un tempo e dovrebbe esserlo ora.
Questo articolo lo scrivo dall’Irlanda, dove ci sono tante esperienze (experience = visite) nelle fabbriche delle birre e del whiskey. In ognuna di esse ti viene mostrata l’arte del bottaio: 7 o più anni di prove e riprove per smarcarsi dal maestro e poter lavorare in proprio (alle volte sposandone la figlia). Si chiama anche passaggio generazionale, e un tempo non veniva fatto solo coi propri figli.
OK, chiudiamo la parentesi “apprendistato”.
Cosa succede se qualcuno le caratteristiche per fare l’imprenditore non ce le ha? O meglio, se non si sente pronto? Personalmente credo fermamente che non si nasca qualcosa o qualcuno, ma che si sia in un divenire di mutazioni e cambiamenti che ci portano a costruire cosa siamo, in base a quello che desideriamo. Chiudiamo anche questa parentesi, altrimenti divento troppo filosofica.
Ho una mia teoria, dunque, non comprovata, spesso, ahimè, dai fatti, che se si ha quella spinta interiore a fare qualcosa di diverso e mettersi in proprio e non se ne ha il coraggio, ancora, il franchising sia un passaggio intermedio di aiuto. Uso il condizionale, d’obbligo, perché dopo aver studiato il sistema dei network franchising americani, qualche dubbio sull’impostazione di quelli italiani mi è venuto.
Ho avuto la fortuna di lavorare per un po’ di anni per un franchising che, per fortuna – dicevo -, ha un approccio formativo, di squadra, verso i propri franchisee, ma guardandomi intorno, quando ho scelto di fare da consulente per le aziende di questo settore, in particolare per quelle con una rete di filiali sul territorio, devo dire che sono rimasta basita.
Il Salone del Franchising e i fuffa – franchisor
Lo shock più grande mi è arrivato dal Salone del Franchising dello scorso anno.
Mi occupo di marketing per franchising da tanto tempo e ho raggiunto la consapevolezza che i franchising siano un mondo molto particolare, in cui si incrociano due livelli di comunicazione, branding e target. A spiegarlo fuori dall’Italia si tratta di ovvietà, ma qui da noi, per nulla, e in fiera ne ho avuto la dimostrazione.
Cosa ho fatto? Beh, come per ogni fiera che si rispetti, ho girato molto, raccolto brochure, fatto domande. Inizialmente avevo un approccio più commerciale, poi ho scelto di fare qualcosa di diverso: fingermi un potenziale franchisee.
Mi sono detta: e se mi mettessi nei panni del mio potenziale affiliato?
Mettersi nei panni del proprio cliente, analizzando il suo processo di acquisto, è una cosa che dovrebbero fare tutte le aziende
e che trovi spiegata molto bene nel libro che suggerisco a tutti gli imprenditori con cui mi confronto, scritto da due dei miei “mentori” (non me ne vogliano se li chiamo così), Manuel Faè e Alessandro sportelli (Il succo del Web Marketing).
Mettersi nei panni del proprio affiliato
Dunque, io sono un cliente esigente, o meglio ho una mia idea del cliente ideale del franchising. Giusta o sbagliata, dovendo percorrerne una, ho scelto questa: persona che si informa, legge, studia, approfondisce tecniche di vendita e di comunicazione e che ha questa spinta primordiale nella pancia verso la voglia di avere qualcosa di suo. Mi sono così approcciata ai vari stand per chiedere informazioni. Quando dicevo che avevo intenzione di aprire, tutti molto molto disponibili, ovviamente. Poi arrivava il momento di chiedere per la zona. Qui già cominciavano le prime falle del sistema: pochi mi sapevano dire se avrei avuto esclusiva o meno, alcuni me la garantivano a parole ma non mi assicuravano una formula scritta, altri mi dicevano che era così da contratto ma con clausola di modifica nel caso in cui il franchising si fosse espanso.
Quale bacino serve al tuo franchisee per aprire?
Prima nota quindi: quale bacino serve al tuo franchisee per aprire? Quale target dovrebbe raggiungere? In che zona si trova il target e come puoi fare per aiutarlo a capire se sia giusta o meno la zona che ti propone?
Io credo che questa sia una cosa basilare, no? Una delle idee che avevo, fin dall’inizio, sui franchising, è che dovrebbero aiutarti a fare una cosa ottimale per il business che vuoi aprire, che è anche sinonimo di protezione del proprio brand.
Avete mai visto cosa fanno le grandi catene di supermercati, per esempio? Guardate un po’ la pagina di Lidl, o spulciate i giornali, talvolta.
Se Lidl ha individuato un bacino ottimale per l’apertura di uno dei suoi store si attiva per cercare capannoni o aree edificabili per realizzarlo. Viceversa, altri Super o colossi del settore, valutano l’area e decidono se poi aprire. Guarda caso, in quelle aree poi ci nascono degli interessanti poli commerciali, buoni o cattivi per l’economia locale, che siano.
Insomma, dietro al reparto sviluppo di big brand come Lidl, Esselunga, McDonald e altri, ci sono servizi di ricerca delle aree, di studio del territorio, ecc.
Come si fa a capire se quella zona è ok o meno per dare l’ok all’apertura al proprio potenziale franchisee?
Beh, ci sono delle società di consulenza che fanno questi studi. Costano. Certo. Però, di fronte alle risposte vaghe e disomogenee degli imprenditori o commerciali incontrati al Salone del Franchising, che dire? Io credo che il gioco valga la candela.
Ad ogni modo, ogni tanto mi chiedo come si facesse un tempo, quando internet non aiutava. Ebbene, interpellando qualche commerciale con un paio di annetti di esperienza sulle spalle, ho scoperto che un tempo i costi di apertura di un franchising o di un supermercato erano ancora più elevati, se paragonati a quelli odierni.
Di fatto la persona che si occupava dello sviluppo andava fisicamente nella zona in cui si doveva aprire, la studiava, andava nelle biblioteche e negli archivi (questi sconosciuti) a documentarsi sul tessuto sociale ed economico di quel territorio, studiava la sezione economica dei giornali locali, con un occhio a qualche articolo interessante, se presente, a livello nazionale.
E poi chiedeva: si facevano dei sondaggi, per capire meglio quale fosse l’impatto di una nuova attività su quell’area, come fossero gli introiti di realtà simili nella zona, ecc.
Qualsiasi informazione era utile per stendere una relazione ineccepibile per la sede, con un verdetto finale: apriamo o no?
Oggi ci sono i software, le società di consulenza, alcune per altro, molto competenti. Ci sono anche gli archivi online, libri, giornali, notizie e, spesso, i quotidiani locali hanno un sito con molte news. Alla luce di questo si può dunque capire fin da subito se ci sia un tessuto interessante per muovere un’attività verso quel paese o quella zona? Io direi di sì.
I due target di un franchising
Alla base, però, c’è da tener conto del target. L’affiliato? No!
Il cliente dell’affiliato. Almeno principalmente.
I franchising, ma qualsiasi realtà con più sedi, hanno due anime: una rivolta a chi li aiuta a svilupparsi, gli affiliati, o soci, o franchisee; l’altra rivolta a chi aiuterà loro a campare, ovvero il cliente finale.
Senza cliente finale non sussisteranno i negozi, senza negozi che si sostengono anche il franchising morirà.
È così difficile da comprendere?
Franchisee e suo cliente: queste due anime possono essere spesso molto differenti e distanti.
Se, ad esempio, ho una catena di negozi per bimbi, non è detto che l’imprenditore che apre con me debba essere una mamma. Il mio cliente finale, invece, per lo più lo sarà. Certo, il canale mamme/bimbi è più facile, ma anche molto competitivo e saturo, direi.
Come si fa a capire il target di un negozio in franchising?
Si analizza, tutto.
In azienda spesso si detengono dati che nemmeno si immaginava di avere, o – se non ci sono – semplicemente si fa ricerca, una sana ricerca.
Se un brand che apre in franchising non si muove in questo senso, eticamente, ha qualche problema. Una delle ricerche online che ho incrociato spesso riguarda “causa contro franchising”. Non servono spiegazioni ulteriori – vero? – per capire che nel nostro paese ci sono più attività che aprono solo con l’intento mordi e fuggi (o piglia i soldi e scappa) che franchisor intenzionati a crescere, mantenersi, far davvero in modo che i propri franchisee aumentino i loro fatturati, raggiungano il break even e diano buon lustro al marchio che portano. Lo ha dimostrato la mia visita al salone.
La promozione di un affiliato sul territorio
In una fase successiva a quella di richiesta di apertura ho cercato di capire come si svolgesse la promozione sul territorio della nuova attività aperta. Purtroppo, ho ricevuto molte idee e poche strategie: chi mi diceva che fanno advertising, chi affermava che avrebbero dato in mano a un’agenzia, chi, con supponenza, mi rispondeva solo con “certo, il nostro reparto marketing fa promozione!”. Quando ho cercato di approfondire sul fatidico reparto marketing, sul tipo di promozione, o sulla strategia, nulla, il vuoto più assoluto. E questo capitava sia per le startup che per i franchising con qualche anno sulle spalle.
Certo, diversa sarà la situazione in cui i franchisor mettono degli investimenti nei negozi. Io in questo momento parlo di franchising con richiesta di investimento totale da parte dal potenziale imprenditore. Un tempo si parlava di win win… in questo tipo di affiliazione ne ho vista poca, di questa teoria, applicata.
Il fatto è che in Italia, ahimè, quando nascono delle imprese, si pensa sempre che la parte commerciale, di vendita, sia quella preponderante e che il responsabile commerciale, o addirittura il titolare, possano accollarsi la parte di marketing. In realtà, le due dovrebbero convivere e dovrebbero lavorare insieme per costruire un percorso che sia utile al commerciale per il suo lavoro (che dovrebbe essere sempre più “inbound” che a freddo, ma ne parleremo in una prossima intervista) e al capo per affermare il brand.
Che tu stia creando un franchising da zero o che ne abbia uno avviato, se non hai un reparto marketing che ti supporti a lavorare sui due canali di acquisizione dei tuoi clienti, qualcosa non sta funzionando,
a meno che il tuo intento non sia fare soldi subito, sulle spalle dei franchisee, di persone che hanno creduto alle tue parole e alle tue promesse pensando di potersi creare un’impresa con te. Io non lo so, ma a me verrebbe un pochino di mal di pancia a lavorare così.
La mission di un franchisor
Se hai ideato un brand e hai creduto che la diffusione in franchising fosse la strada da perseguire, in teoria dovresti volergli bene come a una figlia, che fai sposare con il miglior uomo possibile.
Io penso che questa sia una delle mission che un franchisor potrebbe far propria: capire che chi apre, forse, è una persona che ancora non ha il coraggio di spiccare il volo da sola e che, lavorandoci bene, possiamo darle le ali. Volerà via o tornerà al nido? Non importa, l’importante è che il brand ne risenta positivamente, che il lavoro svolto sia buono e possa attrarre altri franchisee.
Nel mio lavoro aiuto le imprese con più sedi a capire il loro target e a definire la giusta strategia per diffondersi, su entrambi i canali. Non è un lavoro facile, non è veloce, non è immediato. Se stai aprendo un franchising non si può creare entro domani. Se, però, ti interessa approfondire, puoi lasciarmi la tua email, così da ricevere i prossimi articoli che pubblicherò su questi argomenti: marketing e comunicazione per franchising e imprese con più sedi.
Grazie di aver letto fino a qui e se ti fa piacere, condividi l’articolo con chi pensi possa trovarlo utile.
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