Il 2017 se ne va e come accade spesso è ora di fare i bilanci del vecchio anno con un occhio puntato ai franchising.
Si parla di franchising 4.0, nuove possibilità, sfide da vincere e su cui rimettersi in gioco per un mondo, quello dell’affiliazione commerciale, che da quasi 50 anni dice la sua sul mercato.
I franchising nel 2017
Sono pochi gli studi che portano alla luce i veri numeri, se non quelli emersi durante il Salone del Franchising di Milano e qualche analisi di AssoFranchising. Il settore è in crescita.
Se guardiamo i dati degli scorsi anni, negli studi proprio dell’associazione nazionale, la crescita del settore si dimostra ancora più interessante.
- Nel 1989 (primo anno di cui si trovano notizie) in Italia avevamo 210 franchisor, con 1091 franchisee e una media di 43 affiliati per brand.
- Nel 2003 in Italia c’erano 628 imprese affilianti, con 41000 affiliati e una media di franchisee per ogni casa madre di 63.
- Nel 2016 siamo saliti a 950 imprese, con 50700 punti vendita.
- In Italia le imprese straniere che investono sono circa 60, mentre i brand italiani che si sono espansi anche all’estero sono 169.
- Durante la fiera di Milano è emerso che nel 2018 si prospetta che il mercato tocchi i 1000 brand affilianti, con una copertura del 7% della distribuzione e 51000 negozi attivi.
- Anche il Sole 24 ore, a ottobre scorso, ha dichiarato che il franchising è un settore in salute, con un giro d’affari di 24 miliardi di euro.
L’indotto dà lavoro a più di 160.000 persone, e Andrea Renazzi, nell’intervista ad Alessandro Ravecca, presidente FederFranchising, l’altra associazione nazionale del settore, ha riportato recentemente, in un articolo per Retail&Food (dicembre 2017), che l’affiliazione può rilanciare il ruolo dell’impresa nei territori, specie laddove si generano momenti di incontro tra le amministrazioni locali e i franchisor per lo sviluppo dei centri storici.
Tutto vero? Tante prospettive positive e tante possibilità ci sono davvero? Da quando seguo il settore, e oramai sono una decina di anni, ho notato che non è tutto oro quel che luccica – ovunque in realtà – ma soprattutto in un mondo che in Italia qualche falla ce l’ha ancora.
Franchising nel 2018
Ho provato a chiedere un po’ di opinioni in giro, tra franchisor, franchisee e chi si interfaccia con loro.
Mentre Aprire in Franchising parla dei nuovi trend e delle attività da aprire, Info Franchising gli si accoda spiegando anche perché valga la pena scegliere la forma dell’affiliazione per mettersi in proprio e AssoFranchising annuncia l’annuario 2018 con tutte le 1000 aziende attive in Italia; anche all’estero si parla di prospettive e nuovi trend e l’Entrepreneur, sempre molto attento al settore e ai suoi sviluppi, ha analizzato le over top 10 franchise categories 2018 e in altri ambiti si parla di quali siano le migliori fiere del franchising per espandersi al’estero.
Aperture, sviluppo, nuovi punti vendita, nuovi rami e nuovi distaccamenti, export, specie nei paesi asiatici. E poi ancora perché aprire e dove conviene, più i soliti temi che attanagliano le discussioni da tempi immemori: contratti e manuale operativo, ma in primis se la legge sia davvero adeguata al settore.
Sono tante le domande che si leggono online, davvero tante. Corrispondono a quelle che franchisee e franchisor si pongono quotidianamente?
Sono percezioni o realisticamente dicono e raccontano i mal di pancia di chi si sta davvero mettendo in gioco e di chi sta aiutando gli imprenditori a farlo?
Ogni volta che sfoglio un magazine del settore me lo chiedo per davvero: vedo tanti marchi promuoversi, comprare spazi, mettere in campo promesse, e quello che mi piace analizzare, e non sempre emerge facilmente, è se si tratti per davvero di brand in cui valga la pena investire.
C’è da dire che la tematica è delicata, non fosse altro per un dato: la ricerca di franchising e affiliazioni low cost è in aumento. Si tratta di franchising apribili con investimenti dai 15 ai 30 mila euro (la media va dai 30 ai 50000) e pare riguardi il 70% delle nuove aperture.
Franchising low cost per il 2018?
Moda o vera opportunità? I franchising low cost rappresentano un trend che guarda al futuro o una prospettiva pro tempore che potrebbe avere dubbie possibilità di sviluppo? Un tempo si usava dire che “chi più spende meno spende”. Nel franchising non è detto, analizzando grandi brand e franchisor attivi da tantissimi anni, che chi più spende abbia di più.
Guadagnerà di più? Aperture e chiusure lo dimostreranno attraverso i dati. Sta di fatto che
di fronte a investimenti maggiori e fee più elevate non è detto che corrispondano servizi migliori e più strutturati.
Il low cost quindi offrirà di meno a fronte di un investimento minore? Anche in questo caso, non è detto. Ci sono realtà in franchising a basso investimento, specie nel mondo delle startup, che hanno impostato strategie molto precise e si stanno muovendo molto bene anche nel confronto con l’innovazione. Saranno costi sostenibili per sempre? Lo vedremo.
Franchising nel 2018: la mia indagine
Intanto il tema è il 2018 per i franchising e come lo vedono i diversi attori. Ho cercato di dividerli per aree di intervento tra franchisee, consulenti ed esperti e franchisor.
Vediamo cosa è emerso, con una nota, una parentesi divagatoria: ha risposto anche Elena Delfino, giornalista che si occupa di franchising da quasi 20 anni. Ho recuperato un suo articolo per AZ Franchising del 2008, che si chiama 1998-2018: il franchising ieri, oggi, domani. Mi sembrava doveroso citarlo, per aprire al ragionamento, e per la stima che ho per lei, oltre che per l’anno a cui guardava, il 2018.
Ringrazio fin da ora chi si è preso qualche minuto per rispondermi, interagire in pubblico o in privato, dedicarmi il suo tempo per parlare di questo argomento e mettere un occhio verso questo 2018 ormai arrivato.
2018 e franchising: il punto di vista dei franchisor
Apro con Pietro Amico, avvocato, che da anni si occupa di comprendere il settore e strutturare interventi volti a tutelare il franchisor rispetto a tutti gli aspetti noti e poco noti di sviluppo della sua rete e della legge.
Una nota che mi sento di fare, specie quando si struttura un franchising, è non dare per scontato che basti un contratto standard per partire. Specie quando si innescano politiche di marketing molto strutturate, è bene pensare fin da subito come la strategia impatti sullo sviluppo, prevenendo, prima che curando… Il punto di vista dell’avv. Amico apre gli occhi sui passi che sta compiendo l’Unione Europea sui franchising e mette nuovi punti su un percorso che si dimostra ancora una volta da costruire.
“Nel 2018 il franchising potrebbe trovarsi ad affrontare un passaggio epocale sul piano giuridico, in quanto è atteso l’avvio dei lavori per una regolamentazione europea della materia.
Ciò significa che il settore sarà chiamato a una profonda riflessione sulle priorità da consegnare alla politica UE e sul tema mai sopito del corretto bilanciamento di interessi tra affilianti e affiliati; al tempo stesso è ipotizzabile che la normativa, una volta attuata e a regime negli Stati membri, consenta agli attori economici di poter fare affidamento per la prima volta su un quadro legale omogeneo per operare e investire in ambito transfrontaliero. All’origine di tale percorso vi sono le interessantissime considerazioni del Parlamento Europeo, secondo cui
“il franchising ha tutto il potenziale per essere un modello commerciale in grado di contribuire al completamento del mercato unico nel settore del commercio al dettaglio, in quanto può rivelarsi uno strumento utile per avviare un’impresa mediante un investimento condiviso tra affiliante e affiliato;
ed è pertanto motivo di delusione constatare che, attualmente, nell’Unione europea i risultati sono inferiori alle potenzialità, poiché il franchising rappresenta solo l’1,89 % del PIL, contro il 5,95 % negli USA e il 10,83 % in Australia, e che l’83,5 % del volume d’affari del franchising è concentrato in appena sette Stati membri, motivo per cui è importante incoraggiare una maggiore diffusione di questo modello commerciale in tutta l’Unione Europea (Risoluzione del 12 settembre 2017 sul funzionamento del franchising nel settore del commercio al dettaglio).
Nel merito si tratterà di capire se l’Unione Europea si accontenterà di una regolamentazione “de minimis” o se invece ci sarà lo slancio per affrontare l’innovazione di una disciplina contrattuale che per molti aspetti è ferma al secolo scorso, con un’idea di negozi fisici soggetti a esclusive territoriali e a pratiche commerciali “impositive” da parte dei franchisor, laddove al giorno d’oggi le affiliazioni di successo inglobano sempre più spesso piattaforme di vendita on-line ed una collaborazione integrata tra tutti i membri del network.”
Pietro Amico, avvocato d’affari e manager, si muove a livello professionale tra Udine, Milano e Malta.
La tematica del rapporto fra affiliante e affiliato è sentita moltissimo dai franchisor. Alcuni, come Alessandro Giuliani di Mercatopoli e Baby Bazar stanno puntando alla qualità degli affiliati, proprio per lavorare meglio sul brand e il suo sviluppo, dando loro maggiore supporto e formazione, anche in un ambito poco esplorato, per i franchising, come quello del web marketing. Un tema che mi è molto caro, per altro: partire dal presupposto che avere i migliori franchisee, formati e attenti, se pur crei uno sforzo enorme in fase di selezione, sia la chiave per avere successo nel tempo, con una cassa di risonanza positiva per tutto il network.
“Penso che anche per l’anno prossimo i franchisor dovranno perseguire la strada del supporto ai loro affiliati, soprattutto sul web.
Le sfide saranno molte ma partono dalla consapevolezza che un affiliato che viene seguito e guadagna è un cliente super fidelizzato.
Minore focalizzazione sulle nuove aperture e maggior supporto per gli affiliati esistenti, questa è la strada che sto perseguendo personalmente con il mio team e che porterò avanti nel 2018.”
Alessandro Giuliani, fondatore di Mercatopoli e Baby Bazar
Ed espansione, in particolare sui mercati esteri, come accennava l’avv. Pietro Amico, anche se con una tendenza ad abbracciare quelli con gli occhi a mandorla, come spiega Giovanni Monzali, che si occupa di un noto brand di caffè.
“L’ azienda per cui lavoro é in forte espansione con il franchising e ho partecipato a seminari di formazione sull’export management in Asia che mostrano ottime previsioni di crescita nella zona, grazie al traino del PIL delle economie asiatiche. Per la Camera di Commercio la vera sfida sarebbe quella di puntare sui mercati asiatici, ma non è una novità: si tratta di un progetto in atto da decenni e l’Italia si é mossa in ritardo…”
Ritardo o meno, le reti che allargano la loro maglia lo dovrebbero fare in maniera consapevole e strutturata, senza dimenticare che oggi più che mai l’accesso alle informazioni è così globale che pensare di arrancare con una struttura poco trasparente non paga e che all’estero si stanno muovendo nuovi approcci anche al franchising anche visto che, in tema di affiliazione, l’Unione Europea potrebbe ancora una volta fare la differenza, con i suoi emendamenti in materia.
Da parte mia penso che la sfida vera dei franchisor sia decidere di fare ordine nelle proprie strategie di marketing, ancora più importante se parliamo di startup.
Partire con una chiara strategia consente a legali e commercialisti di costruire manuali operativi e contratti molto più tutelanti, sia per il franchisor che per la sua rete.
C’è davvero tanta ignoranza e impreparazione, specie per chi ha una rete già costruita. Cambiare le carte in tavola in itinere non è solo una manovra commerciale, ma diventa un’operazione che può toccare gli equilibri in maniera indelebile.
Il franchising è una squadra che funziona se si innescano dinamiche collaborative e partecipative di un certo tipo. Quando ci penso o vengo contattata per lo sviluppo web marketing per un franchising, è uno degli aspetti che sento forti, e che riguarda, in realtà, una specie di evoluzione della gestione delle risorse umane, quella comunicazione interna di cui tanto si parla ma che nel nostro paese è ancora lontana dall’essere gestita.
Così come in un’azienda – lo possiamo anche chiamare welfare – i dipendenti dovrebbero essere felici di svolgere il proprio lavoro perché anno chiari i loro obiettivi e si sentono stimolati dall’appartenenza a una squadra in cui stanno bene e quindi lavorano bene, allo stesso modo
i franchisee, se pur abbiano un rapporto contrattuale diverso – e lungi da me che sia simile a quello di un dipendente – dovrebbero sentirsi parte di una famiglia che lavora insieme per uno scopo comune, laddove lo sforzo e la sinergia dell’uno sono utili alla squadra.
Marketing interno ed esterno sono dunque le vere sfide, dal mio punto di vista, e sono quelle con cui, ultimamente, mi confronto ogni giorno.
2018 e franchising: cosa pensano gli esperti
Un avvocato lo abbiamo sentito, ora tocca a chi indaga, intervista e supporta i franchising in Italia. Partiamo dalla già citata Elena Delfino, giornalista di Start Franchising, che si occupa del settore dagli anni ’90, per arrivare a uno dei massimi esperti italiani in tema di contratti etici per i franchising (e legali), che con i suoi articoli ha spesso messo in luce molte delle ombre del settore. Il suo è un punto di vista oggettivo e duro, ma è proprio la sua capacità di farci riflettere che dovrebbe dargli ancora più valore. Collaborazione e nuovi approcci alla diffusione nelle parole, invece, di Roberto Lo Russo, che su StartFranchising sta ponendo attenzione al franchising di qualità.
“C’è una domanda che amici e parenti mi rivolgono puntualmente perché sanno che da anni scrivo di franchising: Elena, ma il franchising funziona davvero? Con chi mi consigli di investire?” apre così Elena Delfino, continuando: “Ecco, per il 2018 partirei con un augurio, e cioè che gli operatori di questo settore decidano di raccontarsi e raccontare questa formula di business in modo sempre più qualificato e trasparente, così da rendere le risposte a quelle domande sempre più dirette ed immediate. Con Start Franchising abbiamo deciso di impegnarci proprio in questa direzione. L’augurio però non è molto lontano dalla previsione: chiunque operi nel franchising si racconterà in modo sempre più efficace su strumenti qualificati online o offline, perché sappiamo che chi investe oggi è consapevole di poter reperire informazioni in modo più semplice e accessibile. Se non le trova, o le trova parziali o poco chiare, semplicemente cambia strada.”
Elena Delfino, giornalista esperta di franchising
“Occorrerebbe dividere il tema in due parti:
1. sfide di e sul mercato per ogni franchisor;
2. sfide per il franchising, come settore.
Se il n.1 non è tema di mia specifica competenza, per il n.2 occorre accettare e ben metabolizzare che non esiste una “sfida” o più “sfide” per il 2018. Il franchising non ha ancora affrontato, o meglio, quanto eventualmente e solo per ipotesi è stato fatto, è assolutamente inefficace. La reale sfida che doveva vincere, quella prettamente tecnico-legislativa non è vinta per niente, nonostante si voglia ancora negare questo aspetto. Ho da poco scritto sul mio blog “Il gattopardo in franchising”. Il senso è quello che riporto sinteticamente in quell’articolo.
Il franchising non ha mai trovato il modo di tenere lontani operatori poco professionali.
Non ha mai trovato il modo di non far partecipare a eventi pubblici per “vendersi” (perché questo è l’esatto termine tecnico, in Usa si dice “to buy a franchise” e in Francia “achat une franchise”).
Chi non ha una corretta impostazione del proprio sistema di franchising, che non ha sperimentato veramente la propria formula commerciale (come dice la normativa), che non significa “un punto pilota” o “per un anno” continua a esprimersi con obrobri economici: sono eresie aziendali, sono giustificazioni e motivazioni addotte semplicemente per creare “movimento” di indici di natalità e di mortalità. Tanti altri sono gli aspetti che ancora hanno grandi criticità e non hanno importanza i dati di “tenuta” del settore nel periodo di crisi, anche perché la lettura e l’interpretazione di tali dati può essere alquanto soggettiva, nonostante il palese negazionismo che ci arriva con tutta serenità. Forse la migliore conclusione è che al franchising non piace sentirsi dire tutti i tanti difetti che ancora sono stati lasciati addosso al settore e che qualcuno tende a nascondere sotto il tappeto e non sarà certo il 2018 a risolvere il tutto.
Ci sarebbe anche un altro tema interessante: è che in troppi “non tecnici”, soggetti in totale assenza di “visione di un insieme d’azienda”, pensano di essere esperti, interpretare la norma (a pro o a favore), dare indicazioni su come costruire una rete, ecc.
Ho recentemente fatto un arbitrato (io ero arbitro del franchisee) e il franchisor (che oggi ha una istanza di fallimento proprio dal franchisee che ha vinto l’arbitrato) ha serenamente dichiarato “io mi sono affidato a delle professionalità, come il mio commercialista, come uno dei più bravi avvocati, cosa avrei dovuto fare se nessuno mi ha detto niente?”. Stessa cosa vale per sviluppatore, responsabili di marketing, editori, franchisor mancati che, siccome sono stati molto “bravi”, allora pensano di dare consigli ad altri e fare i consulenti al franchising…”
Mirco Comparini, Presidente IREF Italia, Federazione delle Reti Europee di Parternariato e Franchising
Poca professionalità, tanta improvvisazione, come dar torto a Mirco vedendo certe tipologie di contratto o le strategie di marketing per franchising che non tengono conto dei due target e di una prospettiva a medio e lungo termine? Un altro tema scottante e sicuramente non dedicato solo al 2018, ma a una rivoluzione intera, che pare debba ancora venire.
Cosa si può fare? Come ci si può muovere per migliorare questa situazione? Qualcuno dice che se non crei soluzioni sei parte del problema, e così ragiona Roberto Lo Russo, dicendo che
“La prima sfida è far comprendere la formula del franchising etico sia ai Franchisor che ai Franchisee e potenziali tali; la seconda è strumentale alla prima, fare squadra tra associazioni, imprenditori del settore per fare massa critica”
Roberto Lo Russo, esperto di franchising, StartFranchising
L’approccio di Roberto, che ritroveremo alla Fiera del Franchising di Napoli, è proattivo:
non siamo più isole, dobbiamo cominciare a collaborare!
Una nota positiva arriva anche da Gianni Perbellini, commercialista, esperto di franchising.
“Sono convinto che il 2018 sarà un anno di grande accelerazione per il settore.
L’economia e i consumi in ripresa faranno ripartire le attività commerciali BtoC e il sistema Franchising garantisce un’accelerazione nello start up e buone possibilità di successo commerciale.
D’altro canto il consumatore, sempre più, tende a fidarsi ed affidarsi a format diffusi in franchising, dei quali conosce risposta qualitativa e pricing. La mobilità e le tempistiche sempre più incalzanti della vita quotidiana aiutano a creare sempre più consenso a ciò che si è dimostrato degno di fiducia ed è diffuso sul territorio. L’Italia, poi, deve recuperare il Gap che ha nei confronti degli altri Paesi Europei, per tacere degli Stati Uniti, per cui ben venga questo balzo in avanti!”
2018 e franchising: il punto di vista dei franchisee
Parliamo di sviluppo, selezione, affiliati più preparati. Sta di fatto che ci sono persone che ci hanno creduto, hanno sposato un marchio e hanno deciso di intraprendere la loro strada imprenditoriale con esso. Se può essere facile parlare di sviluppo partendo da zero o ragionando sui nuovi franchisee per il 2018, come è possibile adoperarsi per far lavorare meglio chi già è dentro a un’azienda da tempo? Ho deciso di ascoltare la voce di qualche franchisee o potenziale, per capire meglio cosa pensano.
I franchisor dovrebbero ascoltarli di più, chiedendosi cosa desiderino e facendone tesoro. Vedo pochissime situazioni win-win in cui il franchisor, come avviene invece in America, crea dei focus group con i propri franchisee, per capirne le esigenze e osservare il mercato ponendo nuove basi per il futuro. Il caso di Carpisa di quest’anno, ma anche tanti altri, sono emblematici per dimostrare che il franchisor non dovrebbe ritenersi un’isola né nei confronti dei propri simili, né tantomeno in quelli dei suoi franchisee. Ecco cosa mi hanno detto.
“Non so se sia una sfida ma il franchisor non è all’interno del negozio franchisee. Ho notato che i nostri concorrenti sono cresciuti molto quando i titolari hanno aperto uno o più punti vendita. A noi manca questo: abbiamo molta teoria ma poca pratica.”
P., franchisee di un noto brand italiano, che ha chiesto di rimanere anonimo
C’è una distanza tra il franchisor e il franchisee dunque, spesso sentita, perché il franchisee si sente mal compreso, nella gestione quotidiana e si rende conto che chi lo “governa” non si mette nei panni del proprio – di fatto – principale cliente. Molto interessante.
“Da 24enne con il “Sacro fuoco dell’imprenditoria” ma senza ‘na lira, sogno dei franchisor più preparati ad aiutare chi vorrebbe mettersi in gioco usando la propria forza per aiutare il franchisee a trovare le risorse e smettere semplicemente di fare gli appioppiatori di negozi.”
Guido Vecchioli, aspirante franchisee
“Appioppatori di negozi” è un termine nuovo, ma tante volte questo concetto è emerso:
i franchisor pensano solo alla loro espansione, a fare numeri, senza chiedersi cosa possa succedere quando i negozi chiudono, con quale impatto sul brand.
Ne abbiamo parlato prima, e lo trovo un tema su cui i franchisor dovrebbero fare sempre più attenzione.
Il Salone del Franchising ha fatto emergere che
- il 42% dei potenziali affiliati sceglie un franchising per la ricerca di un percorso autonomo,
- il 39% per testare una nuova esperienza,
- il 13% perché ha perso il lavoro
- Il 25% dei potenziali affiliati è nella fascia d’età tra i 25 e i 35 anni.
“Da franchisee, considero questo metodo di affiliazione in espansione siccome da la possibilità di intraprendere un’attività da self-employed. In periodi come questi, ‘l’imprenditore per necessità’ emerge più facilmente e può quindi trovare l’opportunità che cerca. Considero il contesto importante, poiché determina l’esperienza del franchisee e la crescita aziendale. A mio parere, in Italia c è molta diffidenza in questi sistemi poiché spesso sono accostati a concetti imprecisi. La diffusione potrebbe essere difficoltosa e per la nostra notoria bassa propensione al rischio e investimento.”
Emanuele Aversa, franchisee
Il 2018 ideale di un franchising
Come dovrebbe essere il 2018 ideale di un franchising? Recentemente mi sono messa a fare un po’ di studi sullo sviluppo imprenditoriale e uno dei temi che noto essere più semplici ma anche accantonati è quello di darsi degli obiettivi. Gli obiettivi, dice la teoria, dovrebbero essere SMART: specifici, misurabili, realizzabili, concreti/realistici, nel tempo.
Quante imprese riescono a lavorare per macro e micro obiettivi, nel breve, medio, lungo periodo, andando poi a confrontare i risultati per comprendere se vi sia stata una chiara visione o meno e imparare da ciò che ha ottenuto? Ahimè, non è facile.
I macro ambiti di intervento del 2018 però sono chiari, e ogni franchisor dovrebbe fare o aver fatto un esame di coscienza, facendosi supportare da consulenti preparati, per trovare il modo di tradurre questi concetti in obiettivi:
- Qualità e non quantità: non serve avere migliaia di affiliati scontenti, ma una quantità corretta, gestita bene e soddisfatta dei risultati che ottiene
- Basta improvvisazione. Servono consapevolezza e consulenti in grado di comprendere che questo non è un settore comune e che ha caratteristiche specifiche molto delicate da trattare, che non si possono improvvisare o affidare a un copia e incolla
- Accompagnamento. Il franchisee è il nostro principale cliente e quindi come tale va trattato. Il franchisee deve quindi essere supportato in fase di apertura ma anche in tutto il corso della vita del suo negozio.
- Contratti e manuali operativi seri, che nascano da uno studio serio e concreto. Non si scherza!
- Collaborazione, network, condivisione delle informazioni. Nonostante le molte associazioni, non c’è ancora una vera squadra in questo settore
- Un occhio aperto verso l’UE, che sta o potrebbe cambiare le carte in tavola. Prepararsi non è così scontato
E poi, visto che parlo di strategie di marketing per franchising
-
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- Lavorare su una corretta strategia di marketing interno
- Definire una strategia di marketing globale che si occupi dei due target principali, lavorando principalmente sulla fidelizzazione, ovvero sulla soddisfazione e insoddisfazione dei propri clienti
- Fare buona pace definendo come strutturare gli strumenti online, specie Facebook Location e Google My Business
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Ma soprattutto
- Definire degli obiettivi, che puntino prima di tutto a dare profitto agli affiliati, in modo da rinsaldare la rete e renderla forte di fronte alle sfide del mercato.
I franchising che oggi stanno dimostrando di avercela fatta sono quelli che sono stati in grado di mettersi in gioco, guardare al futuro, saper cogliere il presente nei suoi cambiamenti e fare squadra con i propri affiliati. Sviluppare reti più strutturate ed espandersi all’estero senza tenere conto di questi aspetti rischia di generare un approccio e un sentiment negativo non solo verso un brand, ma verso l’intero settore.
Approfondiremo alcuni degli aspetti trattati nei prossimi articoli. Se ti va di leggerli, seguimi sui canali social in cui mi trovi, come Facebook o LinkedIn, o iscriviti alla mia newsletter.
Grazie per aver letto fino a qui e buon 2018! In franchising, magari! 🙂
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