Negli ultimi dieci giorni si sono svolte due importanti fiere per il mondo dei franchising: la fiera di Milano, il Salone del Franchising, e la fiera di Valencia, il Salón Internacional de la Franquicia.
Si tratta di due fiere del franchising storiche, l’una con i suoi 32 anni si attività, l’altra giunta ormai alla 28esima edizione.
Ho avuto la fortuna di partecipare a entrambe, potendo non solo cogliere le differenze tra il mercato italiano e quello spagnolo, ma analizzando soprattutto quale sia l’approccio in comunicazione e marketing di questo settore, nei due paesi.
La prima domanda che mi sono fatta, visitando entrambi, è come un franchising dovrebbe comunicare in fiera. La seconda riguarda un approfondimento che vorrei portare avanti sull’assenza dei big player, molto nascosti a Valencia, appena accennati a Milano.
Quando parlo di big player mi riferisco alle grandi aziende internazionali, che ormai hanno capillarmente coperto le aree commerciali e urbane di un gran numero di città nel mondo, dai marchi italiani come Calzedonia e co., fino a quelli esteri come Mc Donald o Pizza Hut.
Cosa significa partecipare a una fiera?
Partiamo da una domanda, che mi deriva dal percorso che sto seguendo con Manuel Faè ed Alessandro Sportelli, Web Marketing per Imprenditori:
le fiere sono strumenti della domanda latente o di quella consapevole?
Quando penso a una fiera di settore, ma in generale qualunque persona ci pensi, dovrebbe focalizzare la sua partecipazione cercando di comprendere in quale fase del processo di acquisto si inserisce.
Dunque, se con la tua azienda partecipi alla fiera campionaria o a quella di paese, quasi sicuramente stai intercettando domanda latente. Le persone sono lì per fare un giro, curiosare, mangiare le frittelle di Santa Lucia e tu, con il tuo stand, se sai comunicare bene, potresti incontrare il loro interesse.
Domanda latente, appunto. Genera un contatto? Non è detto!
Innesca un processo di acquisto? Forse.
Se sei bravo, ripeto, fornendo il giusto materiale o colpendo il pubblico con un messaggio davvero differenziante, o se hai la capacità di individuare in pochi istanti chi è potenzialmente un tuo cliente, potrebbe essere che a seguito di quell’incontro avvenga qualcosa di più concreto e utile per il tuo business.
Parte alta del funnel, pubblico ampio, interesse relativo. Tienine conto. Se punti tutto sulla domanda latente, spari nel mucchio, specie in eventi in cui, a meno che tu non abbia i superpoteri, c’è di tutto.
Ma le fiere di settore? Sono davvero strumenti della domanda latente? Io non credo.
Le fiere di settore, come le fiere del franchising di Valencia e Milano, sono strumenti della domanda consapevole.
Ora, se segui WMI da qualche tempo o hai letto Il succo del Web Marketing, saprai che la domanda consapevole ha diverse declinazioni.
Si parla di domanda consapevole generica, informativa o commerciale e di domanda consapevole specifica.
In fiera che tipo di domanda ti dovresti aspettare?
Chi partecipa a una fiera come quella del franchising potrebbe, in realtà, avere tutte e tre le tipologie di bisogni. Vediamo un po’.
In generale se scegli di dedicare una giornata a una fiera specifica di settore, a meno che tu non sia di Verona con i biglietti gratis per il Vinitaly per andare a bere con gli amici, sai che nella fiera troverai la gran parte delle informazioni e delle scibile di quel settore, tutto insieme, in un unico luogo e in pochi giorni! Interessante, no?
Se ti interessa un determinato ambito di sviluppo o vuoi conoscere determinate aziende, invece di doverle cercare su Google, chiedere in giro, o fare altri mille voli pindarici per intercettarle, potenzialmente le hai tutte lì, pronte per te. Domanda consapevole generica: voglio saperne di più, vado in fiera, dove potrò trovare informazioni ma addirittura vedere in faccia chi ci sia dietro un determinato business. So che il mio lavoro non va più come vorrei, sento di avere l’indole dell’imprenditore, mi attrae la possibilità di mettermi in proprio ma mi fa anche paura. Queste sono tutte leve che portano le persone a informarsi sui franchising.
In fiera possono trovare informazioni.
E se invece andassi in cerca di aprire con un determinato tipo di azienda? Magari ho la stessa spinta di chi cercava informazioni, ma di fatto, beh, vorrei aprire un ristorante, perché ho da sempre la passione per la cucina. Non so a chi rivolgermi, con chi fare l’investimento giusto, ma so che voglio cambiare la mia vita nel giro di un tot di tempo e che voglio farlo gestendo una cucina e gli avventori che vorranno cibarsi dei miei piatti. E in fiera, dunque, ho una forma di domanda più commerciale, rivolta al settore che io rappresento.
Voglio capire quale sia il franchising giusto con cui affiliarsi nel settore della ristorazione.
Ma se mi sono informato, ho letto tutte le riviste, ho ricevuto tutte le email dei funnel a cui mi sono iscritto, e mi sono dunque fatto un’idea specifica di quale sia il franchising giusto per me?
A questo punto, beh, la domanda consapevole è davvero specifica e in fiera potrò avere l’onore di prendermi del tempo per conoscere meglio chi ha inventato o porta avanti quella rete. Certo, potrei anche andare in azienda, ma la fiera è un terreno neutro, mi dà un’idea meno affettata di una sala riunioni costruita per raccontarmi quanto sia bello affiliarmi con quel brand.
Esiste la possibilità di convertire?
Se un cliente è pronto a parlare proprio con il tuo brand, sì, potrebbe essere. Se viene in fiera proprio per quello, per discutere un contratto, ci potrebbe stare. Uno dei miei clienti ha costruito un funnel molto approfondito e usa le fiere per parlare con i clienti che già hanno scelto di affiliarsi. Ma le usa anche per invitare a conoscerlo chi è ancora indeciso e sta valutando varie strade.
La fiera è un evento. Come tutti gli eventi ha un prima, un durante e un dopo e, non si capisce come mai, spesso gli eventi si dimenticano del prima e del dopo.
Non è che si scordino della becera organizzazione logistica, eh, quello no. Si scordano però della strategia che può stare dietro una fiera, nel comprendere come inserirla nel processo di acquisto, come renderla uno strumento utile del funnel di vendita, come finalizzare, poi, i contatti ricevuti.
Da Valencia a Milano, il mio punto di vista sulle fiere
Purtroppo non posso essere clemente con il Salone del Franchising di Milano e con il Salòn de la Franquicia di Valencia. Sì, perché oltre alle aziende che espongono, ci sono anche le strutture che fanno la fiera, che dovrebbero comprendere di avere due clienti importantissimi: l’espositore, e il visitatore. Senza l’uno non esiste l’altro, senza l’altro non parteciperebbe mai l’uno. Funzionano, insieme.
Le fiere del franchising di Valencia e Milano sono state, purtroppo, poco lungimiranti, sia nei confronti degli espositori che in quelli dei visitatori. Sono ancora momenti molto importanti, eventi unici nel loro genere, ma vengono comunicati e diffusi male, purtroppo, tanto che i big player ormai mancano, che le aziende si affidano a degli aggregatori dove il rapporto umano viene un po’ a mancare, e che i visitatori, talvolta, rimangono delusi dell’offerta.
Nonostante questo, organizzano incontri e momenti di formazione di valore, non solo con aziende che presentano i loro servizi, ma anche con professionisti che agevolano la focalizzazione verso il settore e le sue potenzialità, oltre che verso nuovi approcci utili al business. Non entro qui nello specifico degli interventi sul mondo del franchising che ho seguito sia in Italia che in Spagna, o nelle occasioni di confronto con franchisee o franchisor, ma di fatto – forse anche per il costo elevato di partecipazione –
alle fiere manca ancora qualcosa per affacciarsi a un nuovo modo di concepire questo canale, più moderno e vicino alle esigenze del visitatore e dell’espositore.
Non facciamo di tutta l’erba un fascio. Ci sono fiere che ancora oggi hanno dei perché molto forti, indiscutibili, come ho visto durante il mio intervento a Expo Network Forum di GRS, lo scorso luglio.
Se sei un franchising e vuoi attrarre nuovi franchisee attraverso la fiera, dunque, cosa dovresti fare?
Innanzitutto, darti un obiettivo.
Qual è lo scopo di partecipare alla fiera?
Se ne hai già fatta almeno una, è facile: cerca di fare meglio della precedente. Come? Controlla i contatti raccolti, le presentazioni fatte, le brochure distribuite, ma soprattutto, controlla quali risultati hanno avuto nel lungo periodo: hai raccolto solo contatti farlocchi? O tra chi ti ha visitato c’è stato chi ti ha poi portato una affiliazione? E di che tipo di contatti si trattava? Solo curiosi o persone veramente interessate?
Quando mi interfaccio con gli imprenditori che devono partecipare a una fiera il grande tema è: ma in fiera non c’è tempo di fare tutto quello che dici. Vero. Ho fatto per 10 anni una delle fiere più stressanti di Verona, Vinitaly: 7 giorni su 5 tra organizzazione e gestione dello stand. So bene cosa significa lo stress da fiera. So altrettanto bene che, però, se non finalizzi i tuoi obiettivi, farai presenza, come tanti altri, e allora forse ti potrebbe costare meno un commerciale che telefono a tutti i tuoi potenziali clienti per due mesi. Qualcosa raccoglie, se ha stoffa.
Ricorda allora che in fiera devi lasciare un segno di te, specie se qualcuno viene per informarsi.
Sia a Milano che a Valencia, ahimè, ho visto, oltre a una fiera del franchising, la fiera delle banalità. “Siamo i leader”, “risultati immediati”, “nessuna fee di ingresso”, “i più innovativi”.
Emanuele Maria Sacchi, consulente e formatore alla vendita, in uno dei tanti corsi in cui ho avuto la fortuna di sentirlo parlare, diceva: “ma lo puoi mettere nella carriola?”. Forse, solo ora, capisco appieno cosa intendesse. I leader. Possono dirlo tutti. Ma dimostrarlo con numeri concreti, che si possano mettere – idealmente – in una carriola, chi può farlo?
Inoltre, quando dici una cosa del tuo brand, prova a prendere un altro brand, magari tuo concorrente. Se sostituisci il tuo nome con il suo la frase ha comunque senso? È coerente? Se lo è, hai un problema, di omologazione.
In fiera potrebbero esserci tanti come te. Devi farti ricordare. E puoi farlo con una marcia in più: la tua presenza.
Le persone che incontrerai si ricorderanno del tuo brand ma anche di come ti sei posto, se sei stato convincente e credibile. Chiedono informazioni, ti sei preparato a dargliele? Ha ipotizzato la gran parte delle domande che ti potrebbero venire rivolte e hai deciso come rispondere ma, non solo, hai trasmesso a chi sta in fiera con te come ti aspetti che le diano? Non è facile. Ma fa parte della preparazione, di quel pre-fiera che non è solo decidere la posizione del bancone di accoglienza dello stand.
E poi, durante la fiera, che strumenti usi per raccogliere informazioni utili, feedback, dati?
Lì davanti a te hai il tuo cliente, probabilmente il migliore: è venuto in fiera per informarsi sui franchising. Come cerchi di raccogliere i suoi dati e le informazioni che potresti dargli? Hai un modo per raccogliere i suoi dati? E di quali dati hai bisogno?
“Non c’è tempo, Silvia”.
E’ sempre questa la scusa. Leggi sopra:
se pensi che non ci sia tempo, stai sprecando il tuo tempo lanciando ami in un lago in cui non sai se ci siano pesci.
Se hai investito in una fiera, investi in un/a ragazzo/a, carino/a e formato/a, che ti faccia da segretaria e raccolga i dati. Tu ti potrai dedicare ai clienti, lui/lei a questa parte burocratica. È un’idea, ma un modo si trova.
Perché dovresti raccogliere i dati in fiera?
Il funnel di cui parlavamo ha diversi livelli. Alcuni sono più lontani dall’acquisto, altri meno. Un potenziale cliente che viene in fiera potrebbe essere più vicino all’acquisto di quanto immagini. Vuoi perdertelo? Io penso di no. E in fiera potrebbe non essere pronto a firmare un contratto di affiliazione, ma magari, di lì a poco, nei giorni successivi, potrebbe rielaborare quanto visto e volerne sapere di più. Farai in modo di ricordargli da subito che tu sei interessato a lui/lei o aspetterai come gli ebrei che scenda la manna dal cielo? Non so se quello lassù sia ancora così magnanimo…
Se hai i dati dei tuoi clienti, qualcosa potresti fare, fra le altre, creando credibilità nel tuo cliente, che a ben vedere, tra qualcuno che non si fa più vivo e tu – magari meno interessante sulla carta – che ti fai sentire e dimostri di avere una strategia, potrebbe decidere per te.
Post evento. Come lo curi? Come continui una relazione che possa provare ad accompagnare la persona che hai incontrato sempre più vicina alla conversione?
Ti dirò di più. Una persona decide di abbandonarti. Dopo averti visitato in fiera, dopo aver letto qualche email, dopo averti sentito al telefono alla fine dell’evento per valutare l’affiliazione al tuo marchio, ti dice che non è più interessata. E tu pace, la lasci andare così, senza proferire parola. Ma come? Ti è mai venuto in mente che chi non sceglie per te potrebbe darti informazioni utili per migliorarti? Se hai creato un rapporto, perché non provi a chiedergli un feedback che magari ti può essere utile come autoanalisi?
Se sei un franchising emergente, se hai appena scelto, dopo un test su uno o più punti vendita pilota, di diventare un franchisor, i feedback sono importantissimi, anche quelli negativi.
La fiera è utile solo per i franchising in fase di startup?
Ahimè, entriamo nella seconda parte della mia analisi delle due fiere di Valencia e di Milano. I big player non c’erano. In questo caso, mi sono ripromessa di fare un approfondimento specifico.
Alla fiera di Parigi sono ricomparsi, mi ha detto Elena Delfino di StartFranchising. Al Salone del Franchising di Milano e al Salòn de la Franquicia di Valencia, però, non c’erano, oppure erano velatamente presenti attraverso le associazioni – specie in Spagna – di Franchise.
Nessuna scoperta del brand che c’è dietro, del team che mi supporterà, del mondo a cui potrei andarmi ad affiliare. È triste, ma ha il suo perché.
Le aziende grandi hanno innescato un processo di inbound marketing in cui la forza e riconoscibilità del brand, la sua diffusione e capillarità, rendono i potenziali affiliati alla ricerca dell’affiliazione. Sono strutture talmente consolidate che in genere si possono permettere un’altissima selezione, non hanno bisogno di aprire qualsiasi porta al mercato, di farsi conoscere. Le persone che vogliono aprire la loro attività alle volte fanno a gara per accaparrarsi una zona per aprire in franchising ancora libera.
Un’altra storia, che non voglio approfondire qui, dove già mi sono dilungata abbastanza, tra Spagna ed Italia.
I due mercati sono uguali?
No. In Spagna c’è molta più fiducia nei franchisor, in questo sistema di imprenditorialità guidata. In Italia c’è ancora dubbio, sfiducia, un po’ di resistenza.
Il settore si è macchiato, negli anni, per colpa di imprenditori poco accorti, tanto che oggi anche i più etici, quando partono, fanno fatica, e le obiezioni comuni sono sempre quelle.
In Italia, poi, c’è un tema scottante, che anche il Salone di Milano ha portato alla luce:
manca la visione imprenditoriale. Chi apre in franchising, spinto spesso dalle possibilitià offerte da un TFR, pensa che il franchising sia una forma di lavoro dipendente. Non lo è.
Quando si parla di contratto di franchising si parla di collaborazione, di esperienza, di know how. Affiliarsi e diventare franchisee però non significa stare dietro una scrivania. Mi ha fatto specie una domanda, uscita proprio a Milano durante uno degli interventi sul diventare franchisee: cosa significa essere imprenditori? Bella domanda. Una bellissima domanda su cui i Franchisor dovrebbero interrogarsi prima di affiliare, per arrivare a scegliere la persona giusta, quella che porterà davvero avanti il proprio brand, anche – perché no? – con la possibilità di costituire fra gli affiliati dei percorsi ancora poco sviluppati nel nostro paese, ma ben consolidati in Spagna o in America, per esempio, per diventare Master franchisor.
Ma questa è un’altra storia.
Da Valencia, e Milano, è tutto, e quindi – come si dice – linea allo studio.
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