
Nel 2025, il marketing non può più essere monodirezionale. I consumatori si muovono tra TV, social media, negozi fisici, e-commerce, app e assistenti vocali, aspettandosi un’esperienza coerente e fluida ovunque.
Questa strategia si chiama omnicanalità ed è la vera differenza tra un brand che sopravvive e uno che domina il mercato.
Ma cosa significa davvero essere omnicanale? E quali aziende lo stanno facendo nel modo giusto?
Cos’è l’Omnicanalità?
L’omnicanalità è la capacità di un brand di offrire un’esperienza coerente su tutti i canali:
- Online e offline si fondono → Un cliente può iniziare l’acquisto su un sito web, provarlo in negozio e completarlo tramite app.
- I dati migliorano l’esperienza → Un brand raccoglie informazioni da più canali per offrire raccomandazioni personalizzate.
- Ogni touchpoint è connesso → Che sia un post Instagram, una pubblicità in TV o un’email, il messaggio è coerente e rilevante.
Multicanalità VS omnicanalità:
- Multicanale → Il brand è presente su più piattaforme, ma i canali non comunicano tra loro.
- Omnicanale → Tutti i canali sono interconnessi per creare un’unica esperienza fluida.
Tre esempi di Omnicanalità
Quali aziende si stanno muovendo in modo sistematico nell’omincanalità? Non è semplice attivare un processo di rivoluzione omnicanale in azienda. Innanzitutto, l’azienda deve far compenetrare i reparti e reagire agli stimoli in modo univoco; poi, deve interrogarsi sul fatto che non basta un sistema o un gestionale per essere omnichannel, serve una cultura aziendale solida. Il rischio di affrontare un percorso omnicanale senza un piano, affidandosi solo ai tool, è quello di lasciare fuori opportunità e persone.
E mentre si parla diffusamente di questo approccio, solo una bassa percentuale di imprese può dire davvero di essere omnichannel. Vediamo alcuni esempi presi da grandi brand, che se pur abbiano risorse e strumenti sicuramente più forti di altri, possono essere spunto per alcune riflessioni, anche di chi non ha queste capacità strutturali. L’importante, come dicevo, è iniziare ad analizzare e sviluppare la “mentalità”.
1. Nike: dal negozio all’app, senza soluzione di continuità
Nike ha creato un ecosistema perfettamente integrato:
- L’app Nike consiglia i prodotti in base agli acquisti precedenti.
- In negozio, il cliente può scansionare un QR code per vedere la disponibilità di taglie e colori.
- Dopo l’acquisto, riceve notifiche con consigli su come usare il prodotto.
Cosa possiamo imparare da Nike? Usare la tecnologia per collegare l’esperienza online e offline e rendere l’acquisto più intuitivo.
2. Starbucks: la fidelizzazione omnicanale perfetta
- L’app Starbucks permette di ordinare e pagare in anticipo, evitando code.
- I punti fedeltà si accumulano indipendentemente dal canale d’acquisto (app, negozio, drive-thru).
- L’utente riceve offerte personalizzate basate sulle sue preferenze.
Cosa possiamo imparare da Starbucks? Il programma fedeltà deve essere integrato su tutti i canali, premiando ogni interazione con il brand. Non è così scontato. Eppure è quello che chiedono gli utenti/clienti: continuità, nell’esperienza e nei flussi.
Piccola riflessione sui programmi fedeltà nei Franchising: mi sono trovata spesso ad analizzare le opportunità di crescita del sistema di affiliazione rispetto alla fidelizzazione degli utenti: da un lato i clienti vivono il brand e non sentono di essere all’interno di punti vendita differenti, per cui, sia che si trovino in una città che in un’altra, vogliono avere un’esperienza omologa; dall’altro gli affiliati, soprattutto di Franchising storici, si sentono indipendenti e creano frizioni quando si vogliono sviluppare programmi di loyalty, a svantaggio del sistema di Franchising tutto.
3. Sephora: esperienza cliente senza frizioni
- I clienti possono salvare prodotti sull’app e ritrovarli automaticamente in negozio.
- L’AI suggerisce il make-up perfetto in base alla carnagione dell’utente.
- I consulenti in negozio hanno accesso al profilo online del cliente per personalizzare i consigli.
Cosa possiamo imparare da Sephora? Personalizzazione e continuità sono le chiavi per fidelizzare il cliente.
Omnicanalità ed eventi: cosa possono imparare Super Bowl e Sanremo?
Gli eventi di grande impatto possono diventare piattaforme perfette per strategie omnicanale. Possiamo tranquillamente dire che gli eventi che segnano, solitamente, il passo sulla pubblicità e i nuovi trend sono quelli più seguiti dal pubblico. Da un lato, il Super Bowl, in America, dall’altro (almeno fino al 2024) Sanremo, per il nostro Paese. Vediamo come i brand hanno sfruttato questi due eventi e cosa possiamo imparare.
Super Bowl: il modello perfetto
Le aziende che investono nel Super Bowl sono davvero tante. I costi degli spazi pubblicitari, enormi. Ma quello che ha sempre caratterizzato il Super Bowl è la creatività: gli inserzionisti, gli investitori, non solo hanno gli spazi in TV o a bordo campo, ma possono ideare vere e proprie esperienze dentro e fuori gli stadi. Non c’è limite (o ce ne sono pochi). In effetti, scegliere di investire cifre così importanti dovrebbe portare anche a progettare il miglior spot di sempre, per fissare negli spettatori l’idea del marchio, il suo valore e un ricordo indelebile dei suoi prodotti. Fare diversamente sarebbe come decidere di comprare il biglietto del ballo delle debuttanti e andarci con un saio. Un grande investimento richiede dunque il miglior vestito.
Cosa abbiamo visto al Super Bowl 2025?
- Spot TV con teaser pre-evento su TikTok e Instagram.
- Coinvolgimento degli utenti sui social (challenge, meme, commenti live).
- Engagement post-evento con contenuti esclusivi e offerte speciali.
Il grande tema è stato coinvolgere attori e personaggi famosi, la sfida realizzare quasi dei film. I messaggi, a seconda del brand, sono di diversa natura: da quelli più forti a quelli più ironici. Alcuni esempi?
- Dove ha trasformato il suo spot in un movimento sociale sui social media, prolungando la visibilità ben oltre la diretta TV. La bambina che corre sulla scia dello slogan Born To Run ha fatto emozionare tutti. Dove ha collaborato con H.E.R., artista da 6,6 mln di follower, per la realizzazione dello spot;
- Stella Artois ha messo in campo un vero film: quello della ricerca del gemello perduto di David Beckham in America. E chi è il gemello perduto? Niente poco di meno che Matt Damon;
- Ray-Ban continua a spingere i suoi occhiali in collaborazione con Meta giocando sul real time marketing. Non solo ha usato un cast stellare, con Chris Pratt, Christopher Hemsworth e Kris Jenner, ma ha spinto su una delle opere d’arte più discusse degli ultimi mesi, la famosa Banana di Cattelan, 6,2 milioni di dollari di valore. Lo spot appartiene a una serie, che vuole avvicinare quanti più consumatori possibili agli occhiali, anche se non sembra che il prodotto stia ancora avendo il successo atteso;
- Pringles ha sfruttato la notorietà, acuita dai recenti riconoscimenti, di Adam Brody, con uno spot che lo mostra in crisi per mancanza di Pringles a un party. Il tubo si trasforma così in un piffero magico richiama baffi, che vediamo partire da tutto il mondo.
Questi sono solo alcuni, tra cui vi invito a vedere anche GoDaddy, Lay’s e Ritz. Ma lo spot che più ha portato animo alla discussione sulle pubblicità del Super Bowl è certamente quello di Hellmann’s, che ha ingaggiato proprio Billy Crystal e Meg Ryan perché riprendessero i loro ruoli in “Harry ti presento Sally” e rifare, nella stessa location – il Katz’s Delicatessen – la scena cult dell’orgasmo, 35 anni dopo il successo del film. Forse troppo, per della maionese’? Forse loro poco credibili? Tra apprezzamenti e critiche, di fatto lo spot mostra che non c’è limite alla fantasia, nella creazione dello spot più discusso del Super Bowl, che si dimostra non solo utile per il pubblico massmediatico, ma anche per i differenti canali di critica e divulgazione pubblicitaria.
Sanremo: l’occasione mancata?
Sanremo ha il potenziale per diventare un evento omnicanale, ma i brand non lo sfruttano appieno. O meglio, il Sanremo di Amadeus ci aveva abituati a inserimenti pubblicitari creativi e collaborazioni più ampie del solito inserimento televisivo. Non sono mancati certo i palchi esterni e le avventure per raggiungere la nave Costa di turno, così come le automobili che hanno accompagnato i cantanti all’Ariston, ma mi sarei aspettata qualche sforzo in più, come il bell’esercizio di Poltrone e Sofà dello scorso anno di accompagnare gli artigiani della qualità dentro al Festival, in un creativo Divano Sanremo che ha coinvolto tutti e che voleva avvicinare il pubblico da casa, con non pochi meta messaggi.
Quest’anno gli spot sono stati poco creativi, non solo al Festival, ma anche nella messa in onda. A fronte di cifre da capogiro (un minuto nella fascia delle 23.30 è arrivato a costare più di 1 milione di euro, ancora più alta la cifra de 4 spot prima dell’annuncio del vincitore) i brand che hanno acquistato gli spazi avrebbero potuto fare di più: niente spot nuovi, quasi nulla la co-partecipazione al Festival. Alcuni main sponsor non sono stati nemmeno in grado di condividere l’esperienza sui social, riducendo la presenza al canale televisivo. Peccato!
Cosa avrebbero potuto fare gli sponsor?
- Creare attivazioni digitali live per far interagire gli spettatori con lo spettacolo.
- Integrare e-commerce e app per acquisti in tempo reale.
- Sfruttare contenuti dietro le quinte su TikTok e Instagram.
Chi ha fatto qualcosa di interessante (se pur un po’ scontato, considerato il tipo di brand)? Spotify ha promosso la playlist di Sanremo. Certo, poteva creare challenge interattive o sondaggi live per aumentare l’engagement. Forse la cosa più omnichannel che si è vista è stata l’interazione degli utenti TIM con la app per assegnare il premio (che poi è andato a Giorgia). Avere una App è un obiettivo per molte aziende, permettendo di raccogliere dati, interagire, creare un canale diretto di dialogo, ma come rendere gli utenti partecipi e far aprire quella App è il vero tema, che pochi hanno risolto: TIM, grazie ai voti della miglior canzone, ci è riuscita. Chapeau perché mi ha permesso di parlare di omnichannel 😀.
Come applicare l’omnicanalità nel tuo brand?
Sì, lo so, c’è ancora tanta confusione su cosa sia o non sia omnichannel. Ma quali sono i punti di partenza e gli obiettivi che dovreste darvi quando vi avvicinate a questo tema e alle sue opportunità?
🔹 Assicurati che il messaggio sia coerente su tutti i canali.
🔹 Utilizza i dati per personalizzare l’esperienza utente.
🔹 Sfrutta la tecnologia per connettere online e offline.
🔹 Incoraggia l’interazione e il coinvolgimento.
La regola d’oro?
Il cliente non deve mai sentirsi perso o confuso quando passa da un canale all’altro. Tutto deve essere connesso.
L’Omnicanalità è il futuro del Marketing?
I brand che riescono a creare un’esperienza fluida, coerente e personalizzata saranno quelli che vinceranno la battaglia per l’attenzione del consumatore.
E tu? Hai già un’ottica omnicanale o stai ancora trattando ogni canale come un’isola separata?
Nei miei percorsi di consulenza uso diversi approcci per avviare una transizione omnichannel nelle aziende, sia quelle comuni che i sistemi in rete, commerciali o Franchising. Spesso, già grazie all’uso della Facilitazione, anche attraverso il Metodo LEGO® SERIOUS PLAY®, si possono delineare obiettivi e processi per arrivare a creare piani di azione solidi, che contemplino rischi e opportunità. Non servono mesi di analisi interne e di mercato per avviare questa transizione, né complessi tool. Se ti interessa iniziare a capire come la tua azienda può diventare omnichannel, mettiamoci in contatto!